L’imprenditore che non ha abbastanza liquidità per pagare tasse e stipendi e dà priorità a quest’ultimi non commette reato: la decisione della Corte di Cassazione.
L’impresa che sta attraversando una crisi finanziaria deve dare priorità agli stipendi dei dipendenti piuttosto che al pagamento delle ritenute o delle imposte.
È quanto emerge da una recente sentenza della Corte di Cassazione - III sezione penale - secondo la quale non può essere considerato reato il comportamento dell’imprenditore che non ha abbastanza liquidità per pagare sia le tasse che gli stipendi ai propri dipendenti e per questo sceglie di dare priorità a quest’ultimi.
Una sentenza destinata a fare storia che ribalta quanto stabilito nei precedenti gradi di giudizio. Per capire quali sono le motivazioni alla base della sentenza della Cassazione dobbiamo analizzare il caso di specie, facendo chiarezza sui presupposti affinché sussista il reato di omesso versamento di ritenute dovute e certificate, previsto dall’articolo 10-bis del dlgs 74/2000.
Il caso di specie
La Cassazione ha preso in esame la vicenda di un’imprenditrice bresciana che tra il 2009 e il 2010 ha preso per mano un’azienda gravemente in crisi finanziaria.
La manager, dopo aver rilevato di non aver abbastanza liquidità per pagare sia le tasse che gli stipendi dei dipendenti, ha deciso di liquidare quest’ultimi così da tutelare anche le loro famiglie.
Nel I grado di giudizio questo suo comportamento è stato punito con la reclusione di 1 anno e 6 mesi, come previsto dall’articolo 10-bis del dlgs 74/2000 per il reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate.
Nel dettaglio, l’articolo 10-bis del dlgs 74/2000 stabilisce che:
“È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”.
Affinché sussista il reato però bisogna che il comportamento dell’imprenditore sia doloso, ossia che il fatto venga commesso con l’inganno, con frode.
Ed è proprio all’assenza di dolo che ha fatto appello la difesa dell’imprenditrice; questa, infatti, essendo subentrata poco prima alla guida dell’azienda non era stata capace di accantonare mensilmente gli importi per il pagamento del debito d’imposta e di conseguenza si è trovata nella scomoda situazione di dover preferire gli stipendi dei dipendenti al pagamento delle tasse.
Nel II grado di giudizio la prima sentenza è stata in parte rivista, ma anche la Corte d’Appello ha rilevato i presupposti per la condanna penale. La Corte d’Appello infatti non ha concordato con quanto dichiarato dall’impianto difensivo: la donna ha confermato di non aver avuto alternativa, e per questo implicitamente ha confessato di non aver adempito volontariamente al debito d’imposta.
La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione - con la sentenza 6737/2018 - ha accolto le richieste dell’impianto difensivo non rilevando i presupposti per il reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate.
D’altronde, come rilevato dai suoi difensori, è incostituzionale punire l’imprenditore che omette il versamento delle ritenute fiscali per una crisi fiscale a lui non imputabile, qualora la poca liquidità disponibile venga utilizzata per far fronte ad “improcrastinabili adempimenti verso altri creditori, quali i lavoratori dipendenti”.
Anche secondo la Cassazione la manager era obbligata a preferire il pagamento della retribuzione agli oltre 200 dipendenti; inoltre, a differenza di quanto rilevato dalla Corte d’Appello, non può sussistere l’elemento del dolo dal momento che l’adempimento di un dovere non equivale ad una scelta.
Per la Cassazione quindi non è doloso il comportamento dell’imprenditrice che ha preso l’unica decisione possibile, aggiungendo che nei precedenti gradi di giudizio bisognava accertare in modo completo la fattispecie criminosa, cosa che invece non è stata fatta. Nel dettaglio bisognava assolutamente considerare l’urgenza del pagamento delle retribuzioni, dal momento che sia i dipendenti che le loro famiglie avevano bisogno dei mezzi di sostentamento necessari per vivere.
Per questo motivo il ricorso dell’imprenditrice è stato accolto e annullato con rinvio.
© RIPRODUZIONE RISERVATA