Il prezzo del metallo vola a 100.000 dollari a tonnellata e LME sospende il trading per la prima volta dal 1985. Ma lasciando che China Construction Bank paghi «con comodo» le chiusure degli shorts
Anzitutto, una notizia che i media si sono ben guardati dal diffondere. In piena sindrome Evergrande, infatti, si sono scordati di rendere noto come Gazprom ieri abbia pagato per intero e in dollari gli 1,3 miliardi di scadenza obbligazionaria. Lo confermano i detentori di titoli a Bloomberg. Chi attende l’attivazione dei credit default swaps per stappare lo champagne e brindare al default russo, meglio che tenga la bottiglia in frigorifero ancora per un po’. Anche perché la International Swaps and Derivatives Association ha fatto trapelare l’ipotesi di garantire l’eventuale pagamento solo per contratti non interessati dalle sanzioni. Ovvero, stipulati prima.
E non basta. Contemporaneamente, il Financial Times rendeva noto come soggetti a controllo statale cinese sarebbero interessati a entrare pesantemente nel capitale di aziende strategiche russe di energia e commodities, appunto come Gazprom. Detto fatto, la mossa di Goldman Sachs e JP Morgan di rastrellare distressed debt a prezzo di saldo trova conferma della sua bontà. Il tutto alla faccia delle sanzioni, le quali continuano a operare su un regime di doppio binario fra Usa e Ue che consente a Mosca di scovare sempre nuovi pertugi e scorciatoie.
Ma se la follia di spingere sempre più la Russia nelle mani della Cina meriterebbe un capitolo di riflessione a parte, quanto accaduto nelle ultime 24 ore pare mostrare al mondo qualcosa di maggiormente sistemico: la presa d’atto di un nuovo ordine bipolare già instaurato. E con equilibri già ampiamente sbilanciati. Questo grafico
mostra quanto accaduto a London Metal Exchange nella notte, quando il prezzo del nickel è letteralmente esploso raggiungendo il massimo storico assoluto di 100.000 dollari per tonnellata. Questa altra immagine
mette invece in prospettiva chi operi con il coltello dalla parte del manico anche in questo mercato: la russa Nornickel, la quale oltretutto opera con un mix energetico basato al 46% su fonti rinnovabili che sta garantendole un ruolo avanguardistico nello sviluppo del cosiddetto carbon neutral nickel.
Nemmeno a dirlo, un simile caos nel mercato delle materie prime ha giocoforza trovato qualcuno con la guardia abbassata su scommesse ribassiste. Ad esempio, Peabody Energy, la quale è dovuta ricorrere a un oneroso (10%) unsucured revolver con Goldman Sachs per onorare le margin calls sulle posizioni aperte sul carbone. Stesso destino per Xiang Guangda, il tycoon cinese meglio noto come Big Shot, il quale ha avuto la malsana idea di ammassare shorts per miliardi proprio sul nickel, vedendoli automaticamente tramutati in altrettante perdite mark-to-market. Infine, c’è China Construction Bank Corp. Una delle principali banche cinesi, la quale - pur incorrendo in perdite solo milionarie sul nickel - ha ottenuto un grace period dalla LME. Tradotto, un trattamento di favore della Borsa dei metalli londinese che ha garantito all’unità operativa della banca - CCBI Global Markets - di non attivare procedure di default sulle posizioni.
Come mai? Per un semplice fatto: il mercato delle commodities ha dei padroni con un nome e un cognome, Russia e Cina. I quali dettano le regole anche in casa di quell’Occidente che tenta di bloccarne le mire espansionistiche. E che il loop fosse drammaticamente pericoloso lo dimostra la decisione della stessa LME di bloccare del tutto il trading sul nickel, decisione che vanta come unico precedente lo stop di quattro anni nella contrattazione della latta legato alla Tin crisis del 1985. Di più. la confusione generata è stata tale da spingere la LME a cancellare tutti gli ordini eseguiti dopo la mezzanotte di martedì e ri-programmare le consegne con settlement per domani a causa della sospensione.
Insomma, il caos. Generato da margin calls scaturite dalle fluttuazioni dell’ennesima commodity di cui la Russia detiene il pressoché monopolio. E che ha visto un soggetto statale cinese godere di un trattamento di favore non garantito a un pure-player di quel mercato come Peabody Energy, costretta a indebitarsi ulteriormente per saldare i 534 milioni della margin call sul carbone. Le regole stanno cambiando. O, forse, sta cambiando chi le detta. Non a caso, Londra ha garantito pagamento con comodo al soggetto statale cinese e non al tycoon, probabilmente perché la vicenda Jack Ma ha sancito un precedente anche sulle priorità interne di Pechino. Che tutti paiono rispettare. E alla luce di questo, una Russia totalmente simbiotica con gli interessi cinesi appare la peggiore prospettiva che l’Occidente possa vedersi materializzare.
Ma al cui ottenimento, ironia della sorte, pare stia alacremente lavorando. E apparentemente con successo, soprattutto se ora Usa e Gran Bretagna metteranno al bando le importazioni di petrolio russo, inviando un nuovo shock sul mercato. E facendo saltare tutte le strutture di domande e offerta, generando margin calls a catena. L’Ue, nel frattempo, vara l’ennesimo eurobond per finanziare deficit e straparla di abbattimento dell’80% della dipendenza da gas russo entro fine anno. Una prece.
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