Le tensioni fra Usa e Iran sono un rischio geopolitico sottovalutato che potrebbe risultare vantaggioso per una strategia di investimento long sul petrolio Brent. Di seguito tutte le previsioni dell’esperto sul prezzo
Il prezzo del petrolio è giunto ad un bivio.
Dopo la riunione Opec di inizio mese che ha sancito l’estensione dei tagli alla produzione per altri 9 mesi, le previsioni su dove andranno le quotazioni del barile si accavallano. Il mercato pesa tutte le variabili macroeconomiche e geopolitiche che nei prossimi mesi andranno ad influenza il prezzo del petrolio.
Ma dove andrà il prezzo del barile nei prossimi sei mesi, entro la fine dell’anno?
Oggi il petrolio sta dando vita ad una seduta interlocutoria: le quotazioni del WTI stazionano in area 60,35 $, in rialzo di appena 0,22 punti, mentre il Brent tenta l’approccio con quota 67 $ in progresso dello 0,4 per cento.
Qual è la direzione più probabile del prezzo dell’oro nero nei prossimi mesi?
Prezzi del petrolio a prova di geopolitica
Con l’Iran chiuso in un angolo e l’aumento della tensione tra il regime di Teheran e la Casa Bianca, si parla nuovamente di chiudere lo Stretto di Hormuz, snodo cruciale da cui transita la maggior parte del petrolio mediorientale. Questo andrebbe a ridurre ulteriormente l’offerta di petrolio che arriva in Europa.
«Si tratta di un rischio geopolitico sottovalutato che potrebbe risultare però vantaggioso per una strategia di investimento long sul petrolio Brent», ha spiegato Nitesh Shah, direttore della ricerca di WisdomTree.
Benché l’Iran sia alle prese con le sanzioni Usa, lo scorso novembre sono state accordate esenzioni a molti paesi consumatori di petrolio affinché continuassero ad acquistarlo dal regime di Teheran.
Tali esenzioni sono scadute a maggio, con una perdita di quota di mercato per la Repubblica Islamica pari a 1,3 milioni di barili al giorno a livello di esportazioni di petrolio. Ora l’Iran sta cercando di sfilarsi dall’accordo sul nucleare con l’Unione europea (UE), poiché difficilmente potrà trarne vantaggio dopo il ritiro degli Usa avvenuto nel maggio scorso.
Ma perché lo Stretto di Hormuz è così vitale per l’Iran?
Mappa degli stretti principali del Medio Oriente. Fonte: US Energy Information Administration (EIA)
«Lo Stretto di Hormuz è lo snodo più importante del mondo, essendo attraversato dal 30% del petrolio greggio globale e di altri derivati petroliferi scambiati via mare – prosegue Shah -. È anche la via per cui passano tutte le esportazioni di gas naturale liquefatto (GNL) provenienti dal Qatar, attualmente pari al 30% circa del commercio mondiale».
L’esperto di WisdomTree ha ricordato che secondo le previsioni dell’EIA nel 2020 la produzione totale del cartello petrolifero dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) sarà pari a 29,8 milioni di barili al giorno, 18 milioni dei quali passeranno per Hormuz. Al confronto, le cifre degli altri due snodi della penisola Araba (Suez e Bāb el-Mandeb) appaiono trascurabili.
Ecco perché un intervento sullo Stretto di Hormuz è cruciale per le previsioni sul prezzo del petrolio nei prossimi mesi.
Shock petroliferi e conflitti, un legame storico
Conflitti nel Golfo Persico, 1987-1988, fonte: WisdomTree
Storicamente le Guerre del Golfo hanno costituito dei punti di riferimento utili per gli shock petroliferi causati dal conflitto in Medio Oriente ma in altri periodi hanno avuto un impatto diverso sul prezzo del petrolio, così come testimoniano i dati storici. Per esempio, il 1987-1988 è stato un biennio di grande tensione nel Golfo Persico, ma in quell’epoca non si è verificato un aumento dei prezzi del petrolio.
Il direttore della ricerca di WisdomTree sostiene che i ribassisti notano alcuni parallelismi rispetto agli anni ’80: «Vengono in mente la domanda attuale di auto più ecologiche, la produzione petrolifera quotidiana dell’Arabia Saudita (quasi 10 milioni di barili) e l’esorbitante offerta statunitense di shale oil (petrolio di scisto, WTI), ma molti di questi aspetti sono discutibili se si pensa ai flussi in transito a Hormuz».
Per avere un’idea del contesto, si consideri che la produzione venezuelana è scesa da 2,4 milioni di barili al giorno nel 2016 agli 800.000 circa attuali, per un calo pari a 1,6 milioni di barili al giorno. La quantità di greggio e di prodotti equivalenti che attraversano Hormuz è circa 11 volte maggiore.
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