Mosca ha pagato - puntuale e in dollari - gli interessi in scadenza, di fatto minando le clausole dei cds. Ma anche mostrando al mondo quanto fosse «la benvenuta» nel sistema solo fino a un mese fa
Come accadde per Evergrande, il Godot del default russo non si è presentato all’appuntamento. E, ovviamente, l’argomento è sparito in tempo reale dalle cronache. Non tanto perché qualcuno credesse davvero all’epilogo stile 1998, quantomeno avendo il minimo sindacale di conoscenza dei meccanismi della finanza, bensì perché con una sola mossa la Russia ha gettato all’aria tutte le tessere del puzzle costruito dai media nell’arco di tre settimane.
Perché Mosca non solo ha pagato regolarmente e in dollari i 117 milioni di interessi in scadenza ieri ma lo ha fatto rendendo platealmente tracciabile il loro percorso. Bonifico a JP Morgan negli Usa, utilizzata come banca referente dal governo russo per processare il fondi e da questa alla filiale londinese di Citigroup, a sua volta agente pagatore dei creditori. I quali nelle prime ore della giornata di ieri hanno vissuto i loro warholiani 15 minuti di notorietà, poiché non è esistita sulla terra testata giornalistica che non fosse a caccia della prova di mancato pagamento da parte di Mosca. E in effetti, quegli interessi non sono arrivati a chi ne rivendicava il diritto, quantomeno fino alla fine della giornata lavorativa nella City londinese.
Ma attenzione al secondo step: Mosca ha pagato in tempo (bonifico in data 14 marzo) e in dollari, il fatto che i detentori di quei bond sovrani e dei loro interessi siano rimasti con il conto invariato alla voce entrate è tutta da ascrivere alle controparti occidentali. Le quali hanno dovuto prendere atto della dura realtà: ricevendo i fondi ma non distribuendoli, poiché vincolati formalmente dalle sanzioni, le banche interessate hanno non solo tolto ogni responsabilità di dosso alla Russia, rendendo pressoché nulla il riconoscimento dell’evento di credito. Ma anche creato un pericolosissimo precedente rispetto alle clausole di default dei credit default swaps acquistati dopo l’entrata in vigore del regime sanzionatorio. Se infatti Mosca paga regolarmente e nelle valuta prevista dal contratto ma le controparti non eseguono il processo di clearing, nessuno può rivendicare nulla nei confronti del Cremlino.
Il quale, quindi, ha di fatto stipulato un’assicurazione sulla vita a un costo relativamente basso: pagando puntuale e in dollari quei 117 milioni, Mosca si è garantita un grace period perenne e automatico rispetto a tutte le altre scadenze a rischio, poiché forte del precedente del 16 marzo. Il quale diventerebbe addirittura devastante nel paradossale caso che perdesse di consistenza, ovvero in caso i creditori avessero ricevuto lo spettante. Se infatti Citigroup avesse pagato quanto ricevuto a livello di fondi processati da JP Morgan, il mondo intero avrebbe la prova provata dell’inutilità concreta e sostanziale del regime di sanzioni e dell’estromissione da SWIFT. E, cosa ben più grave, vedrebbe sotto una luce molto più forte e disturbante il lato negativo di quanto posto in essere dai governi in ambito Nato. Ovvero, i costi a livello di contro-sanzioni. In primis quelli energetici ma anche il ricasco industriale e agro-alimentare del bando russo sull’export di commodities chiave.
E questi due grafici
appaiono la rappresentazione stessa dell’ipocrisia appena descritta, una simbolica Guernica delle macerie rimaste della propaganda fuori luogo messa in campo negli ultimi dieci giorni da Usa e Ue. Nel momento stesso in cui JP Morgan ha confermato il trasferimento di fondi a Citigroup e quest’ultima si è trincerata dietro un rumoroso no comment, uno dei due bond cui maturavano gli interessi ha visto il proprio prezzo schizzare di dieci dollari nell’arco di minuti. Apparentemente una questione meramente finanziaria e tecnica ma, in realtà, tutta politica. Tradotto, qualcuno ha apertamente violato le sanzioni. Nel silenzio generale. Mentre la seconda immagine ci mostra come le probabilità di default russo entro 1 anno sono scese dall’80% della scorsa settimana al 57%, quantomeno stando alla prezzatura implicita del credit default swap.
E per finire, ecco che la stessa Citigroup opera come agente di pagamento per almeno quattro dozzine di bond corporate russi, fra cui nomi di primo piano come MMC Norilsk Nickel PJSC e Gazprom PJSC, i quali proprio nei giorni scorsi hanno infatti onorato con successo le loro scadenze. Altre aziende invece hanno visto i pagamenti dei loro coupon bloccati dall’agente pagatore, ovvero quella stessa Citigroup che solo la settimana scorsa ha messo in quarantena 19,25 milioni di dollari di interessi su un bond di EuroChem Group AG, una delle aziende leader nel campo dei fertilizzanti. Settore strategico su cui Mosca ha messo il bando all’export, mandando nel panico gli agricoltori di mezza Europa. Lo stesso rischia il colosso minerario e dell’acciaio Severstal. il quale ha già avvisato rispetto a possibili intoppi nel pagamento di 12,6 milioni di interessi in scadenza sui suoi bonds in dollari.
Ora, al netto dell’evidente rischio di apparire come il reale responsabile del default su quelle scadenze, Citigroup vede con il passare dei giorni svelati i suoi rapporti di lavoro - lautamente pagati - con praticamente l’intero sistema economico e sovrano russo. Se si arrivasse a una tregua e un alleggerimento delle sanzioni, già prezzato di fatto in quel movimento dei credit default swaps, non sarebbe un ottimo ramoscello d’ulivo da presentare al tavolo delle trattative, il fatto di sbloccare i pagamenti di aziende-chiave come quelle minerarie e dei fertilizzanti? Oltretutto, stante un comparto energetico finora nemmeno toccato dalle sanzioni. L’Occidente guardi quei due grafici, poi si guardi allo specchio. E tragga le sue conclusioni, prima che sia tardi. E al danno si unisca anche la beffa.
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