Sindacati contro il governo Draghi: i vantaggi del taglio del cuneo fiscale non bastano, aumenti di stipendio insufficienti per compensare la perdita del potere d’acquisto.
Nelle ultime settimane si è parlato molto dell’aumento degli stipendi nei programmi del governo Draghi, misura straordinaria necessaria per contrastare la perdita del potere d’acquisto dei salari dovuta dall’inflazione.
Oggi, giovedì 4 agosto, dovrebbe essere finalmente il giorno risolutivo con il testo del nuovo decreto Aiuti che dovrebbe arrivare in consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva. Tuttavia, come fanno notare anche i sindacati, gli aumenti di stipendio che verranno riconosciuti con il taglio del cuneo fiscale sono inadeguati, in quanto servono per compensare solamente una minima parte della perdita del potere d’acquisto.
Le cifre, infatti, sono molto lontane da quelle che erano emerse nelle scorse settimane, quando addirittura era paventata l’ipotesi di una proroga del bonus 200 euro.
Un bonus che, come abbiamo già avuto modo di spiegare, non era sufficiente per mitigare le conseguenze dell’inflazione sugli stipendi, ma che comunque era un primo passo di un programma più ampio che fino alla fine dell’anno sarebbe servito per dare maggior respiro alle famiglie.
Tuttavia, il secondo passaggio non soddisfa i sindacati e, molto probabilmente, neppure i lavoratori i quali potrebbero ritrovarsi in busta paga un aumento di stipendio quasi impercettibile.
Così aumenta lo stipendio a partire da agosto
Della soluzione pensata dal governo Draghi per aumentare gli stipendi dei lavoratori italiani, nel periodo che va da luglio a dicembre, ne abbiamo già parlato: si tratterà di un taglio provvisorio del cuneo fiscale, potenziando lo sgravio contributivo introdotto dalla legge di Bilancio 2022, il quale passerà dallo 0,8% all’1,8%.
Ciò significa che il lavoratore pagherà meno contributi rispetto a quanti dovuti nel 2021, mentre della parte mancante se ne fa carico l’Inps così da evitare che possano esserci riduzioni della pensione futura.
Nel dettaglio, al netto dello sgravio contributivo il lavoratore versa il 9,19% di contribuzione ai fini Inps, 8,80% nel caso dei lavoratori dipendenti. Da gennaio 2022 le suddette aliquote sono state ridotte dello 0,8%, arrivando così rispettivamente all’8,39% e all’8%.
Adesso, il governo ha in mente di tagliare un altro 1%, arrivando così al 7,39% e al 7%.
Considerando che tale misura si applica solamente per gli stipendi il cui imponibile previdenziale non supera i 2.692 euro, ne risulta che il risparmio massimo sarà così calcolato:
- fino a giugno 2022 grazie allo sgravio contributivo dello 0,8% si versano 225,85 euro di contributi;
- da agosto 2022, considerando un ulteriore sgravio dell’1%, i contributi dovuti scendono a 198,93 euro.
Un risparmio, dunque, di circa 27 euro, sul quale però bisogna considerare l’aumento delle tasse. L’Irpef dovuta dal dipendente, infatti, si calcola al netto dei contributi: se quest’ultimi si riducono aumenta la base imponibile su cui si calcolano le imposte. Quindi, si versano meno contributi ma si paga più Irpef.
E i vantaggi per chi guadagna meno sono perfino meno. Pensiamo ad esempio a un reddito da 25 mila euro l’anno, ossia con retribuzione mensile da 1.923 euro.
In tal caso il risparmio rispetto a giugno 2022, quando la contribuzione dovuta ammonta a 161,33 euro, è di meno di 20 euro al mese (in quanto i contributi da versare ammontano a 142,10 euro).
E pensiamo a chi guadagna 1.000 euro, per i quali il risparmio sarà di appena 10 euro al mese.
Il nuovo aumento di stipendio è insufficiente per compensare la perdita del potere d’acquisto
Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, al termine dell’incontro avuto con Mario Draghi non si è detto soddisfatto delle misure pensate dal governo:
Per i lavoratori dipendenti, dalla proposta che ci è stata illustrata parliamo di un esonero che passerebbe da 0,8 a 1,8%, che comporterebbe un aumento lordo per i lavoratori dipendenti nei 6 mesi di 100 euro.
In realtà, per chi guadagna 35.000 euro l’aumento sarà più alto, tuttavia non cambia il concetto di base: l’incremento promesso non è sufficiente a compensare la perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni. D’altronde ci sono stime secondo cui i lavoratori italiani hanno perso già l’equivalente di una tredicesima, e altre che invece prevedono conseguenze ancora peggiori alla fine dell’anno.
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Insomma, una situazione che richiede misure di ben altra portata, di cui a questo punto dovrà occuparsi il nuovo governo. Per il momento i lavoratori dovranno accontentarsi di quanto, seppur poco, verrà riconosciuto con il nuovo taglio del cuneo fiscale.
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