Aumento degli stipendi, no al salario minimo sì a sgravio contributivo e riforma dell’Irpef. Parla Durigon (sottosegretario al ministero del Lavoro).
Claudio Durigon, sottosegretario al ministero del Lavoro, ha parlato del futuro delle retribuzioni in Italia ponendo l’attenzione su alcune delle misure che dovrebbero servire ad aumentare gli stipendi.
In particolare, nel corso di un’intervista rilasciata al Tempo, si è soffermato sull’ipotesi di un salario minimo, mettendo alla luce tutte le ragioni per cui il governo non è intenzionato ad andare incontro alla richiesta presentata dalle opposizioni. Ha poi rilanciato sullo sgravio contributivo - per il quale si cercano risorse per la conferma nel 2024 - così come pure sulla riforma fiscale che avrà il vantaggio di ridurre le tasse che si pagano sullo stipendio.
Il piano per aumentare gli stipendi già nel 2024 sta quindi per essere definito, con il governo che tuttavia avrà bisogno anche del supporto del Consiglio nazionale dell’economia e il lavoro (Cnel) così da poter risolvere tutti quei problemi che secondo le opposizioni giustificano l’introduzione di un salario minimo.
Salario minimo? No grazie
La scorsa settimana è andato in scena l’incontro tra maggioranza e opposizioni riguardo alla proposta di introdurre un salario minimo anche in Italia. Il confronto - come era stato anticipato - si è concluso con un nulla di fatto: troppo distanti le posizioni di Centrodestra e opposizioni, come tra l’altro confermato da Claudio Durigon in un’intervista pubblicata in queste ultime ore (con la quale ha parlato anche di pensioni e Reddito di cittadinanza).
Nel dettaglio, secondo il sottosegretario al Lavoro la posizione di Pd e M5s “è fortemente demagogica”, in quanto incentivare il salario minimo comporterebbe un danno per la contrattazione. Come ci ricorda Durigon, d’altronde, l’Europa non obbliga a fissare un tetto minimo di stipendio laddove già i contratti collettivi coprono l’80% dei lavoratori: in Italia siamo quasi al 90%, ragion per cui la proposta avanzata dalle opposizioni non ha senso di esistere (ma a oggi il voto online ha già raggiunto 200 mila firme).
Durigon è quindi della stessa posizione di Giorgia Meloni, ritenendo che non serve un intervento generalizzato - che tra l’altro non piace neppure ai sindacati - in quanto c’è il rischio che per aumentare gli stipendi di quei 3 milioni di lavoratori che oggi guadagnano meno di 9 euro l’ora ne risulterà un ribasso per tutti coloro che grazie al contratto collettivo percepiscono molto di più.
Serviranno azioni specifiche:
- ad esempio, eliminando o limitando fortemente le gare al massimo ribasso, dove i vincitori dei bandi sono costretti a tagliare il costo del lavoro per non perdere soldi. “Eliminando questa stortura le aziende avranno margini più alti per pagare meglio i lavoratori o comunque per riconoscere loro il giusto”, spiega Durigon;
- inoltre, dovrà esserci una stretta al fenomeno del dumping contrattuale, “contratti che con una parvenza di legalità tolgono soldi e garanzie ai dipendenti”, non solo dando paghe basse ma non riconoscendo alcune importanti tutele per il lavoratore. Bisognerà quindi individuare quegli accordi sottoscritti da piccoli sindacati e poi contrastarli con norme ad hoc. In tal senso sarà importante, anzi fondamentale, il supporto del Cnel a cui il governo chiede un forte impegno in questa fase di studio.
Più soldi per lo sgravio contributivo
Nel frattempo Durigon rivendica una delle misure con cui il governo Meloni ha tagliato il cuneo fiscale, riducendo la differenza tra stipendio lordo e netto: lo sgravio contributivo.
Una misura che nel complesso ha garantito un aumento di stipendio fino a 100 euro al mese ma che per essere confermata anche il prossimo anno nella stessa misura del 2023 - 7% per gli stipendi fino a 1.923 euro, 6% sopra questa soglia ma sotto i 2.692 euro - necessità di “più risorse”, almeno 10 miliardi di euro.
Taglio delle tasse
Una spinta alle retribuzioni arriverà anche dalla riforma fiscale, anche se Durigon ammette che non sarà facile farla decollare. “Accorpare le aliquote Irpef”, obiettivo primario dell’Esecutivo, “costa”.
Ma non ci saranno rinvii: “A gennaio iniziamo ad abbassare le tasse ai dipendenti” ha annunciato, non soffermandosi su quella che sarà la soluzione prescelta (al momento gli scenari sono quattro).
Ed è proprio alla riforma fiscale che verrà assegnata la maggior parte delle risorse a disposizione, ragione per cui per altre misure - vedi appunto la riforma delle pensioni - il governo dovrebbe contenere le spese.
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