Dal 18 gennaio partirà l’aumento dello stipendio minimo di colf e badanti, fino a un incremento massimo vicino al 10%, causato dall’elevato tasso di inflazione.
Dal 18 gennaio aumenterà lo stipendio di colf e badanti fino al 9%, a meno che datori di lavoro e lavoratori non riescano a trovare, entro la stessa data, un accordo migliore per l’adeguamento all’inflazione. Questo cambiamento avrà effetto in particolare sulla vita degli anziani più fragili, che molto spesso riescono a pagare colf e badanti soltanto con la paga minima. Il problema principale è che l’inflazione porta a un inevitabile aumento di alcuni stipendi, senza per questo influire sulle pensioni. I pensionati, quindi, si troveranno a pagare fino al 9% in più del consueto.
L’aumento della paga minima per colf e badanti
Il contratto collettivo che regola la retribuzione di colf, badanti e baby sitter prevede infatti un adeguamento annuale, in modo che il minimo previsto per i contributi sia coerente con l’inflazione rilevata dall’Istat ogni 30 novembre. L’aggiornamento non è subito automatico, bensì una Commissione formata dalle parti datoriali e sindacali viene convocata dal ministero del Lavoro per definire l’aggiornamento delle retribuzioni. Gli incontri totali della Commissione sono 3 con cadenza a intervalli di 15 giorni, al termine dei quali, in caso di mancato accordo, per evitare rallentamenti l’adeguamento scatta in automatico, con:
- Un aumento pari all’80% dell’inflazione per le retribuzioni minime, che si tradurrebbe quest’anno in un incremento del 9,44%.
- L’incremento del 100% del tasso d’inflazione per quanto riguarda vitto e alloggio dei lavoratori.
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Il primo incontro della Commissione non è andato a buon fine, pertanto se gli incontri successivi del 3 e del 18 gennaio non dovessero portare ad alcun risultato verrà applicato un aumento delle retribuzioni minime quasi al 10%. Ciò si traduce in una spesa per i datori di circa 130 euro in più ogni mese, senza che invece il proprio reddito sia stato adeguato di conseguenza. Ad esempio, per una badante convivente la paga minima attuale è pari 1.026,34 euro al mese, che passerebbero quindi a 1.120,76 euro mensili, oltre all’aumento dei contributi.
Le conseguenze per le famiglie italiane
La conseguenza è praticamente nulla per le famiglie abituate a versare a badanti, colf e baby sitter una paga più alta del minimo sindacale. Chi, invece, era abituato ad attenersi alla paga minima si troverà costretto a un esborso maggiore, con un impatto decisivo soprattutto per i pensionati.
Per queste ragioni, Andrea Zini, presidente dell’Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico e vicepresidente della Federazione italiana degli stessi, ha espresso la necessità di modificare i tempi d’adeguamento alla paga contrattuale, che comunque non può essere messa in discussione. La proposta principale avanzata da Zini è dunque quella di diluire gli aumenti, magari partendo dal 25% a trimestre, così da riuscire a sopportare più agevolmente l’aumento e concluderlo, allo stesso tempo, alla fine dell’anno. La Fidaldo, comunque, è aperta anche a soluzioni differenti, come la diluzione su uno schema differente. Allo stesso tempo, la Federazione intende porre l’attenzione sulla vera origine del problema, richiedendo al governo delle misure per accrescere la disponibilità delle famiglie italiane. L’ideale per trovare un punto d’incontro sarebbe un meccanismo di ritorno sulle pensioni oppure sulle tassazioni.
D’altra parte, gli effetti dell’inflazione, che ha toccato quasi il 12% nel corso di novembre, hanno già portato all’aumento generale del costo della vita, dalle bollette alle prestazioni sanitarie. Anche per questa ragione, la legge di bilancio contiene alcune disposizioni sull’aumento delle pensioni, che tuttavia appaiono insufficienti per sostenere i costi. Nello specifico, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha già firmato il decreto che sancisce l’adeguamento delle pensioni con un incremento de 7,3% a partire proprio da oggi. Questo tasso viene però scelto in base alla variazione percentuale degli indici dei prezzi illustrata dall’Istat, che dunque dipende solo indirettamente dal tasso d’inflazione. Allo stesso tempo non si può escludere un conguaglio, perché l’indice Istat non è un valore definitivo.
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