È in corso una corsa agli armamenti per il rischio di una nuova guerra ampia? Ecco i numeri della difesa.
La guerra in Ucraina ha comportato un generale aumento della spesa militare dei Paesi Nato e non. Tra il 2021 e il 2022 è stato calcolato un aumento della spesa militare per i soli Paesi Nato del +2,2%; una percentuale che in Italia sfiora il +7% secondo i dati della Camera dei Deputati. La spesa aumentata sembra però non soddisfare i Paesi coinvolti in stati di tensione che potrebbero esplodere in nuovi conflitti e da una parte all’altra del globo i governi dichiarano la possibilità o confermano l’obiettivo di un ulteriore aumento della spesa militare per la difesa.
La guerra russia in Ucraina e la preparazione di un possibile conflitto tra Cina e Taiwan, oltre le tensioni in Iran e in altre parti del mondo, hanno comportato una spesa totale per la difesa che in tutto il mondo ha superato i 2 trilioni di dollari. A guadagnarci sono le società che operano in questa fetta di mercato, mentre il maggior svantaggio al momento è vissuto da chi vede orientare nella difesa fondi che sarebbero dovuti finire in altri settori.
Alcuni Paesi più di altri si stanno spingendo ai primi posti della corsa agli armamenti, tra questi la Polonia e la Francia, ma anche Taiwan, Cina e Medio Oriente. Si tratta di un reboot de “La corsa più pazza del mondo”, una competizione senza regole dove ogni espediente è consentito per conquistare il titolo mondiale.
Più armi, più difesa: la corsa agli armamenti
Nei decenni successivi la Guerra Fredda i diversi protagonisti di questa hanno variato molto il loro approccio alla spesa per la difesa. Gli Stati Uniti in particolare hanno diminuito la spesa annuale per il settore militare, almeno fino all’attentato delle Torri Gemelle. Negli ultimi due anni, dall’inizio del conflitto in Ucraina, si è sentita la necessità di aumentare tale spesa. La strategia potrebbe non essere la migliore in un mondo lacerato dalle guerre e da possibili nuovi scontri; soprattutto a fronte di necessità quali la ripresa post pandemia, la crisi delle banche e molto altro. Eppure è chiaro come la direzione generale intrapresa sia quella della corsa agli armamenti per rispondere a un clima di insicurezza dettato dai numeri al ribasso per la spesa alla difesa.
Un discorso applicabile non solo gli Stati Uniti, ma anche ai Paesi vicini geograficamente al conflitto in Ucraina. Diverso invece la strategia di quei Paesi che hanno alimentato “stati di tensione”, come la Cina con Taiwan. Secondo le stime di diversi enti ed esperti del settore: la rivalità tra le grandi potenze, tra i due nuovi blocchi che vedono Cina e Stati Uniti contrapporsi per il dominio dell’influenza sul mondo, potrebbe far aumentare ancora di più la spesa militare.
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La spesa militare negli ultimi anni: i dati
Non tutti i Paesi della Nato hanno raggiunto il controverso obiettivo del 2% del Pil nella spesa militare e questo perché, come sottolinea Greenpeace in commento a un’analisi dell’aumento della spesa militare presentato dalla Nato, ogni punto percentuale in più significa miliardi di euro tolti a sanità, ambiente e spesa sociale. Il 2% è considerata la soglia minima da raggiungere dalla Nato e il segretario generale della stessa ha voluto sottolineare come “si deve spendere di più” lo scorso gennaio. In risposta il ministro della Difesa Guido Crosetto aveva espresso preoccupazione per la spesa militare italiana ferma all’1,38% del Pil, dicendo che “saremo i Pierini della Nato, gli unici a non raggiungere l’obiettivo del 2%, quando altri parlano già del 3% 4%” se il nostro Paese non cambia marcia.
È cruciale domandarsi se la corsa agli armamenti serva a prevenire una guerra o a causarla. In entrambi i casi però l’Italia e altri Paesi si stanno trovando di fronte alla scelta se spendere alte somme per prepararsi a una guerra non dichiarata o se investire quei soldi in aspetti della vita quotidiana come la sanità, l’istruzione e l’ambiente, quest’ultimo dovrebbe aver ottenuto un interesse nuovo in seguito all’ultimo drammatico evento alluvionale in Emilia-Romagna.
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