Permessi per mamme lavoratrici, elenco aggiornato al 2023

Simone Micocci

23 Febbraio 2023 - 12:08

Cosa spetta alle mamme con figli? Cosa fare se non si può andare al lavoro? Di seguito, una guida aggiornata al 2023 con tutte le informazioni su permessi e congedi spettanti alla lavoratrice.

Permessi per mamme lavoratrici, elenco aggiornato al 2023

Far coesistere impegni lavorativi con l’essere mamma non è semplice, ma esistono una serie di permessi e congedi che possono essere di grande aiuto.

Ce ne sono diversi e la normativa è in continuo divenire: ad esempio, per i permessi per le mamme lavoratrici è stata introdotta una nuova forma di tutela con la legge di Bilancio 2023, grazie alla quale spetta un mese di congedo in più retribuito quasi al pari dell’ultima retribuzione percepita.

Nella maggior parte dei casi i permessi per le mamme che lavorano sono retribuiti, più o meno a seconda delle circostanze: in altri no, ma consentono comunque il mantenimento del posto di lavoro, aspetto assolutamente da non trascurare.

Tali permessi, sui quali faremo chiarezza in questa guida aggiornata al 2023, si aggiungono agli altri diritti riconosciuti alla lavoratrice madre, dei quali trovate maggiori informazioni qui.

Congedo di maternità

In realtà i primi “permessi” alla lavoratrice vengono riconosciuti già durante la gravidanza. Con l’entrata all’8° mese, ossia 2 mesi prima dalla data presunta del parto, scatta infatti l’astensione obbligatoria della durata complessiva di 5 mesi: quindi i 2 prima del parto e i 3 mesi successivi.

Laddove volesse, però, la lavoratrice può far sì che l’intero congedo venga goduto dopo il parto: vi è infatti la possibilità di posticipare l’inizio del cosiddetto congedo di maternità, ma solo previa autorizzazione da parte del medico incaricato, il quale dovrà accertare che la prosecuzione dell’attività lavorativa non pregiudica la salute né del nascituro né della mamma.

Durante il congedo alla lavoratrice spetta l’80% dell’ultima retribuzione percepita; tuttavia, ci sono contratti collettivi che obbligano il datore di lavoro a integrare quanto erogato dall’Inps, facendo sì che durante la maternità la lavoratrice abbia diritto alla retribuzione per intero.

Maternità anticipata

Laddove l’Ispettorato territoriale del lavoro ritenga che tra gravidanza e l’attività lavorativa svolta ci sia un’incompatibilità, oppure se la Asl dovesse accertare che la gravidanza è a rischio indipendentemente dalla tipologia di impiego, l’inizio del congedo di maternità può essere persino anticipato.

Si definisce astensione anticipata per gravidanza a rischio e ha una durata che ovviamente dipende dal persistere delle situazioni che l’hanno motivata.

Per quanto riguarda lo stipendio vale quanto detto per il congedo di maternità: 80% della retribuzione, con la possibilità per il Ccnl di prevedere un’integrazione a carico del datore di lavoro.

Congedo parentale

Al termine del congedo di maternità la lavoratrice ha a disposizione altri permessi a cui poter ricorrere nel caso necessiti di assentarsi dal lavoro per dedicarsi alla cura del figlio.

Tra questi c’è il congedo parentale, di cui la mamma può usufruirne per un massimo di 6 mesi (ma considerando anche quanto fruito dal padre non si può superare il limite di 10 mesi, che sale ad 11 laddove il padre usufruisca di almeno 3 mesi di permesso). Qualora la madre lavoratrice risulti “genitore solo”, allora avrà diritto a 11 mesi di congedo.

Se ne può usufruire fino ai 12 anni del figlio ed è retribuito al 30% per un massimo di 6 mesi a genitore (per un limite complessivo di 9 mesi).

Ai suddetti limiti se ne aggiunge un altro, introdotto dalla legge di Bilancio 2023: nel dettaglio, in alternativa a padre e madre viene data la possibilità di godere di 1 mese ulteriore di congedo parentale, retribuito però all’80%.

Permessi per allattamento

Tanto alla lavoratrice madre che al padre, spettano poi - in alternativa al congedo parentale - i cosiddetti permessi per allattamento. Si tratta di permessi orari a disposizione nel primo anno di vita del figlio (3 anni nel caso del figlio con handicap), la cui durata è variabile a seconda dell’orario di lavoro:

  • 2 ore al giorno con orario di almeno 6 ore lavorative;
  • 1 ora al giorno se l’orario giornaliero conta meno di 6 ore.

Il vantaggio di tali permessi è che non incidono sullo stipendio, in quanto sono retribuiti al 100%.

Permessi per la malattia del figlio

In caso di malattia del figlio spettano poi degli appositi permessi di cui la mamma lavoratrice può usufruire in aggiunta a quelli appena elencati. La durata varia a seconda dell’età del figlio, in quanto:

  • fino ai 3 anni: i genitori possono assentarsi dal lavoro per tutto il periodo della malattia del figlio. Non spetta alcuna retribuzione, eccetto il caso dei dipendenti pubblici per i quali i primi 30 giorni di assenza sono interamente pagati;
  • sopra i 3 ma fino agli 8 anni: spettano un massimo 5 giorni l’anno di permesso.

In queste giornate, dal momento che la malattia riguarda il figlio e non il genitore, non c’è il rischio di ricevere una visita fiscale.

Permessi per il figlio disabile

Come visto in precedenza, per il figlio con handicap i permessi per allattamento spettano fino al compimento dei 3 anni. Ma non è l’unica tutela: la lavoratrice madre di disabile grave ha infatti diritto anche ai permessi riconosciuti ai sensi della legge n. 104 del 1992, della durata di 3 giorni al mese fruibili anche a ore.

Inoltre, per il figlio disabile si ha anche diritto al congedo straordinario della durata (massima) di 2 anni. Tale limite si applica sia nei confronti del familiare disabile assistito che al lavoratore: ciò significa, ad esempio, che se a richiedere il congedo siano - in periodi non coincidenti - tanto il padre quanto la madre, il limite complessivo non potrà comunque superare i 2 anni.

Tanto i permessi di 3 giorni quanto il congedo straordinario sono interamente retribuiti.

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