Puoi essere licenziato anche per ragioni futili, ecco perché

Simone Micocci

22 Luglio 2024 - 18:34

Fai attenzione a come ti comporti al lavoro: anche ragioni futili possono essere causa di licenziamento. Ecco in quali casi.

Puoi essere licenziato anche per ragioni futili, ecco perché

In alcune circostanze si può essere licenziati anche per motivi non gravi. Si è soliti pensare che debbano esserci delle gravi, o comunque importanti, motivazioni dietro la decisione del datore di lavoro di licenziare un dipendente.

Ed effettivamente di solito è così in quanto non è possibile (salvo alcune eccezioni) licenziare senza motivo. La normativa, infatti, stabilisce che il licenziamento può avvenire per giusta causa - quindi per colpa di un comportamento talmente grave da parte del dipendente che impedisce il proseguimento del rapporto di lavoro anche solo per un altro giorno - oppure per giustificato motivo, soggettivo quando è comunque provocato da un atteggiamento (meno grave rispetto alla giusta causa) del dipendente oppure oggettivo se invece dipende dall’azienda (ad esempio rientra in questa fattispecie il licenziamento per ragioni economiche).

Tuttavia, va detto che in alcuni casi il licenziamento per motivi futili, o non gravi, è consentito. A confermarlo c’è una sentenza della Corte di Cassazione datata 2017, utile per rispondere alla domanda su quando un motivo non grave da giustificare di per sé il licenziamento può essere ritenuto una valida ragione per l’interruzione anticipata del rapporto di lavoro.

Quali sono le ragioni futili e non gravi

Le ragioni futili, non caratterizzate quindi dall’elemento della gravità, sono quelle che da sole non giustificano il licenziamento, non potendosi così configurare né come giusta causa né come giustificato motivo.

A tal proposito, ricordiamo che per giusta causa si intendono - come descritto dall’articolo 2119 del Codice Civile - quelle ragioni talmente gravi da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro. E - come aggiunto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11516 del 2003 - la giusta causa va intesa come l’inadempimento talmente grave che qualsiasi altra sanzione diversa dal licenziamento risulta insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro.

Lato giustificato motivo, invece, per quanto riguarda quello di tipo soggettivo si tratta di inadempimento da parte del lavoratore comunque grave a tal punto da autorizzare l’interruzione unilaterale del rapporto di lavoro, ma non abbastanza da giustificare il licenziamento immediato (o in tronco).

Il giustificato motivo oggettivo, invece, asserisce - come stabilito dall’articolo 3 della legge 604 del 1996 - a quelle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della stessa. Se ad esempio il lavoro in un certo reparto produttivo cala drasticamente con l’azienda costretta a chiuderlo, il licenziamento dei lavoratori che ne sono impiegati sarebbe giustificato.

Fermo restando che in caso di impugnamento del licenziamento da parte del lavoratore dipendente sarebbe comunque un giudice a valutare se la ragione che ha portato al licenziamento è talmente grave da non prevedere alternative al licenziamento.

Quando si può licenziare per comportamenti non gravi

Arrivare in ritardo di pochi minuti, come pure non completare in tempo un lavoro richiesto dall’azienda, o anche utilizzare il telefono durante l’orario di lavoro, e ancora bestemmiare o utilizzare un linguaggio poco consono, non rappresentano di per sé delle ragioni gravi da giustificare un licenziamento.

Eppure, potrebbero comunque rappresentare una motivazione adeguata nel caso in cui tali comportamenti siano recidivi. Come spiegato dalla Cassazione con la sentenza n. 2007 del 2017, la reiterazione di condotte futili determina comunque un’autonoma giusta causa di licenziamento.

Attenzione però perché non è sufficiente la recidività: è necessario anche che il comportamento non grave sia stato già sanzionato dal datore di lavoro. Si pensi ad esempio al dipendente che per un paio di giorni a settimana si presenta in ritardo di 10 minuti. Il datore di lavoro, dopo averlo fatto presente decide che è necessario prendere un provvedimento ai suoi danni, per quanto il licenziamento non sarebbe comunque commisurato alla gravità del comportamento.

Procede quindi con un richiamo scritto. Ma nelle settimane successive cambia poco o nulla, con il dipendente che continua ad arrivare sistematicamente in ritardo. Ecco quindi altre lettere di richiamo, fino ad arrivare al punto che non esiste altra soluzione se non interrompere il rapporto di lavoro disponendo il licenziamento.

E attenzione perché il dipendente non si potrà difendere dicendo che per gli altri ritardi è già stato sanzionato: la Cassazione precisa che se l’illecito commesso è costituito da più azioni che si ripetono, sanzionate con autonomi provvedimenti disciplinari, allora si configura comunque quella perdita di fiducia da parte del datore di lavoro che è causa di licenziamento.

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