Registrare le conversazioni del coniuge può configurare un reato, anche in casa propria. Ecco quando e cosa si rischia.
Gran parte delle separazioni vede una buona dose di conflittualità tra i coniugi, in un continuo rimpallo delle colpe. Per provare che è stato l’altro a causare la fine del matrimonio e determinare così l’addebito della separazione, le persone ricorrono agli espedienti più disparati. Negli ultimi anni fanno da padrone le prove tecnologiche, come screenshot e registrazioni. Non è così strano, visto che il cellulare fa ormai parte di ogni aspetto della vita quotidiana, potendo essere mezzo di un tradimento o della sua confessione, per esempio.
Ovviamente i coniugi hanno diritto a raccogliere le prove che ritengono utili ai fini della separazione, anche nell’ottica di un possibile risarcimento, ma non devono uscire dai confini della legalità. Il matrimonio, infatti, non annulla i diritti individuali delle parti, nemmeno in tema di riservatezza e vita privata. Bisogna quindi stare molto attenti, anche perché si rischia di passare dalla parte del torto in un attimo.
Così come spiare il cellulare del partner, anche registrare le conversazioni del coniuge può configurare un reato, perfino se in casa propria. Si tratta di un errore molto comune, come dimostrato dalle numerose sentenze in proposito, tra cui la recente n. 18713/2024 della Corte di Cassazione. Ecco cosa c’è da sapere.
Quando registrare le conversazioni del coniuge è reato
Il matrimonio fa sorgere diritti e doveri reciproci, ma non annulla l’individualità dei coniugi. Il diritto alla privacy e alla serenità della propria vita privata può quindi esser fatto valere anche rispetto alle intrusioni del marito o della moglie. La giurisprudenza lo ha ormai chiarito in svariate occasioni, tra cui la citata sentenza della Cassazione. I giudici si sono espressi sul caso di un uomo che aveva registrato di nascosto la conversazione tra la moglie e il suocero, avvenuta nella casa coniugale quando lui era però assente.
La Corte ha ritenuto corretta la condanna per il reato di interferenze illecite nella vita privata, confermando la sentenza del tribunale di primo grado e annullando l’assoluzione in appello. Quest’ultima si muoveva sulla considerazione del domicilio in senso fisico. L’articolo 615 bis del Codice penale sanziona infatti chi si procura riprese della vita privata altrui all’interno del domicilio. Il marito era ovviamente legittimato a entrare in casa propria, non configurandosi come un estraneo o comunque un soggetto non ammesso nella dimora.
Secondo l’orientamento consolidato della Cassazione, tuttavia, a nulla rileva che il soggetto sia ammesso all’interno del domicilio, nemmeno quando titolare di diritti come la proprietà. In altre parole, non è possibile invadere la vita privata altrui soltanto perché si vive nella stessa casa. Oltretutto, l’elemento chiave del reato di interferenze illecite riguarda l’assenza della persona nel luogo e nel momento delle riprese.
Ciò significa che è reato registrare le conversazioni del coniuge, o ogni altro aspetto della sua vita privata, all’interno della casa familiare in propria assenza. Al contrario, è perfettamente lecito registrare una conversazione a cui si prende parte o che avviene in propria presenza. La Cassazione conferma quindi che il luogo fisico non ha importanza per la configurazione dell’illecito, come nemmeno il diritto di chi effettua le riprese sull’immobile. Si considera, invece, l’estraneità del soggetto a quella porzione della vita privata altrui.
Per lo stesso motivo, è del tutto legale registrare una conversazione o qualsiasi altro evento cui si prende parte in casa altrui. Analogamente, è reato registrare azioni e parole di altre persone senza il loro consenso o, alternativamente, la presenza di chi effettua le riprese anche se si trovano in casa propria.
Cosa si rischia
Il reato di interferenze illecite nella vita privata è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni. Secondo il Codice penale, il reato riguarda chi “mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente(2) notizie o immagini” oppure diffonde questi contenuti. La concezione del domicilio, come chiarito dalla giurisprudenza, è inoltre piuttosto elastica e si applica a tutti i luoghi riservati, concepiti per essere tali. In altre parole, chi non è ammesso a una certa conversazione o a degli atti, non deve procurarsene riprese senza il permesso degli interessati.
Difficilmente, tuttavia, questo illecito si lega all’addebito della separazione perché è assai verosimile che in questi casi la crisi coniugale sia più che antecedente. Discorso analogo per l’altrettanto vietata violazione della riservatezza della corrispondenza.
D’altra parte, la stessa Cassazione riconosce la possibilità di aggirare alcuni limiti per far valere i propri diritti presso l’autorità giudiziaria. Vanno tuttavia rispettati i principi di continenza, correttezza e proporzionalità rispetto all’interesse difeso. La cosa migliore sarebbe provare la colpa del coniuge con altri mezzi, magari ottenendo dichiarazioni testimoniali o conversazioni da parte dell’altro interlocutore. In ogni caso, consultare un avvocato è essenziale per capire come difendere i propri diritti senza ledere quelli del coniuge.
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