Lagarde sembra disposta a fare il primo passo e ad anticipare Powell, tagliando i tassi nella riunione di giugno. Una mossa avallata dalle ultime stime del Fondo Monetario Internazionale.
Da un lato la Fed di Jerome Powell, assillata dall’inflazione degli Stati Uniti tuttora fin troppo ostinata. Dall’altro lato la Bce di Christine Lagarde che, afflitta anch’essa dal nodo del trend dei prezzi, sembra ormai rassegnata ad annunciare a giugno il primo taglio dei tassi dell’Eurozona.
D’altronde, nell’area euro, i fondamentali dell’economia non sono certo solidi e resilienti come quelli americani, che anticipano con la loro forza tutto fuorché quel soft landing che era stato previsto per quest’anno da parte di diversi economisti.
Se di soft landing si vuole parlare, più che agli Usa si deve guardare all’Europa, come ha fatto notare lo stesso Fmi.
Pil Usa vs. Pil euro: l’Fmi presenta le nuove stime con il WEO
La conferma della divergenza sempre più ampia tra il trend del Pil degli Stati Uniti e quello dell’area euro è stata certificata dal nuovo World Economic Outlook (WEO) dell’Fmi, appena pubblicato.
Nel rivedere al rialzo le stime sul Pil mondiale per il 2024, prevedendo ora una crescita pari a +3,2% nel corso di quest’anno, e lo stesso trend per l’anno prossimo, il Fondo Monetario Internazionale ha messo in evidenza il gap che esiste tra l’espansione dell’economia Usa e quella che interessa il resto del pianeta.
Evidente la divergenza tra l’economia americana e quella dell’Europa.
L’Fmi ha migliorato l’outlook sul Pil Usa del 2024 di ben 0,6 punti percentuali, prevedendo ora un ritmo di crescita pari a +2,7%.
Rivista al rialzo anche la proiezione del 2025: in questo caso l’upgrade è stato pari a +0,2 punti percentuali, portando la crescita stimata per gli Stati Uniti per l’anno prossimo a +1,9%.
Anemica invece la performance del Pil dell’area euro che, anche nel 2025, secondo il Fondo Monetario Internazionale, confermerà un trend di crescita da zero virgola.
Stati Uniti meglio di Europa, dunque, (non proprio una novità), il che significa non solo un Pil Usa più forte, ma anche una inflazione Usa più ostinata, come i dati macro stanno già dimostrando.
E così, nel commentare il trend dell’economia americana, il capo economista del Fondo Monetario Internazionale Pierre-Olivier Gourinchas ha sottolineato che “la recente forte performance degli Stati Uniti riflette la produttività robusta e la crescita dell’occupazione, ma anche una forte domanda, in un’economia che rimane surriscaldata”.
“Surriscaldata”, ovvero “overheated”: un termine che nel vocabolario della finanza fa pensare subito all’inflazione, così come, infatti, è, nel caso degli Stati Uniti.
Powell: assenza di ulteriori progressi dall’inflazione Usa
In questa situazione, una cosa è certa: se non c’è crisi, a fronte di una inflazione che rimane persistente, sicuramente non c’è fretta di tagliare i tassi.
È dunque naturale attendersi una Fed orientata a pensarci due volte prima di iniziare a sforbiciare il costo del denaro.
Questa cautela è stata espressa ieri dal presidente della Fed Jerome Powell che, parlando al Wilson Center di Washington, è tornato ad ammettere “l’assenza di progressi compiuti dall’inflazione” nel riuscire a tornare al target del 2% fissato dalla stessa banca centrale americana.
“È chiaro che i recenti indicatori non ci abbiano portati ad avere più fiducia” in riferimento al calo dell’inflazione Usa verso l’obiettivo del 2%, ha detto il numero uno della banca centrale americana, ripresentando la prospettiva che più volte ha scosso il sentiment di Wall Street, ovvero lo scenario di tassi Usa “higher for longer”.
Powell ha fatto riferimento alla “crescita solida” dell’economia americana e alla “continua forza del mercato del lavoro”, sottolineando che “la politica monetaria restrittiva necessita di un tempo più lungo per produrre i suoi effetti”, ovvero per affossare ulteriormente l’inflazione degli Stati Uniti.
Affossate le attese su tagli tassi Fed dopo inflazione Usa. La delusione anche di Joe Biden
Stavolta le parole di Jerome Powell non sono state una vera e propria doccia fredda per Wall Street, dove da giorni è in atto il fenomeno del repricing, visto che nelle ultime settimane anche i mercati sono stati costretti a riconoscere che le loro aspettative sui tassi erano state troppo dovish.
È stato comunque l’indice dei prezzi al consumo degli Stati Uniti a dare il colpo di grazia alle scommesse dei mercati, la scorsa settimana
Il risultato è che ora, stando a quanto riporta Reuters, i trader anticipano un taglio dei tassi sui fed funds Usa di appena 40 punti base nel corso del 2024, dunque di una quantità decisamente inferiore a quei tagli ai tassi di oltre 160 punti base che erano stati prezzati all’inizio del 2024.
Gli analisti di Bank of America, ha riportato ancora Reuters, ritengono inoltre che la Fed taglierà i tassi non più a giugno, ma a dicembre o addirittura più tardi.
Ancora prima, più volte i funzionari della stessa Fed avevano avvertito come fosse troppo presto scommettere su una Fed pronta a sforbiciare i tassi nel mese di giugno.
Tra di loro la governatrice Michelle Bowman, che aveva avvertito che, anche se non considerato uno scenario probabile, la Federal Reserve potrebbe essere costretta ad alzare i tassi un’altra volta ancora per fare arretrare ulteriormente l’inflazione.
Quell’indice CPI salito a marzo non consente di fatto alla Fed di cantare vittoria nella lotta contro l’inflazione avviata due anni fa, nel 2022.
Lo scorso mese il dato è salito infatti del 3,5% su base annua, rafforzando la corsa rispetto al +3,2% di febbraio.
La componente core è balzata inoltre del 3,8%.
I numeri, ancora ben lontani rispetto all’obiettivo del 2% della Fed, hanno portato diversi analisti a rivedere i loro outlook sulla direzione dei tassi.
“Potete dire addio a un taglio dei tassi a giugno”, ha tagliato corto Greg McBride, responsabile della divisione di analisti finanziari di Bankrote, in un commento diffuso dalla CNN.
Ed è stato lo stesso presidente degli Stati Uniti Joe Biden ad ammettere che non è arrivato ancora il momento di dire “Mission Accomplished”.
Biden ha infatti ammesso che “c’è bisogno di fare di più” per far scendere l’inflazione. Sebbene sia “scesa di oltre il 60% dal suo picco”, ha ricordato il presidente americano, “è necessario fare di più per abbassare i costi per le famiglie che lavorano duro”.
La Bce: Lagarde rassicura su tagli tassi. Ma attenti a questo fattore
Discorso diverso per la Bce di Christine Lagarde. Per quanto sempre sull’attenti nei confronti dell’inflazione, che anche nel caso dell’area euro non ha centrato ancora il target del 2% stabilito dalla banca centrale europea, Lagarde ha più motivi per tagliare i tassi rispetto a quanti ne abbia Powell.
Rimane certo il problema di quell’inflazione che l’Eurozona importerebbe dagli Stati Uniti, nel caso in cui, prezzando una divergenza crescente tra la politica monetaria della Fed e tra quella della Bce, i mercati spingessero il dollaro troppo in alto, mettendo sotto pressione l’euro.
In quel caso, un rapporto EUR-USD - che qualcuno vede già vicino alla parità - significherebbe per l’Europa costi per le importazioni più elevati, e dunque il rischio del ritorno di una inflazione pronta a salire più di quanto atteso.
Ma sono state le stesse parole di Christine Lagarde, proferite nel corso di una intervista rilasciata al canale televisivo CNBC, a ribadire che la banca centrale andrà avanti per la sua strada, a prescindere da quanto farà la Fed, sempre che non si verifichi, ovviamente, uno shock improvviso.
Lagarde ha ammesso che “stiamo assistendo a un processo disinflazionistico che prosegue in linea con le nostre stime”.
Certo: “è necessario che ci sia maggiore fiducia” nella discesa del tasso di inflazione, ma, in assenza di “un grande shock”, si avvicina il momento in cui la Bce “dovrà smorzare la politica monetaria restrittiva”, ancora in essere.
Questo non significa che l’Eurotower sia disposta a chiudere un occhio di fronte al trend dell’inflazione.
Tutto il contrario, visto che il riaccendersi delle tensioni geopolitiche, che si è ripresentato qualche giorno fa con l’attacco dell’Iran contro Israele, costringe la Bce a essere molto attenta, come ha sottolineato ancora Lagarde, al movimento dei prezzi del petrolio.
Nel frattempo, dal recente sondaggio con cui la Bce ha intervistato diversi analisti, è emerso che le aspettative degli analisti sono per un taglio dei tassi di 25 punti base nel corso del secondo trimestre del 2024, che dovrebbe far scendere il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali dal 4,5% attuale al 4,25%.
Il tasso dovrebbe scendere ulteriormente al 3,5% entro il quarto trimestre di quest’anno.
Altri tagli dei tassi da parte della Bce dovrebbero far scendere poi questi tassi al 3% nel 2025e al 2,5% nel 2026.
Negli Stati Uniti, dove i tassi sui fed funds sono stati alzati fino al range compreso tra il 5,25% e il 5,5%, le stime su imminenti tagli si stanno facendo sempre più prudenti.
Deutsche Bank, per esempio, prevede un solo taglio dei tassi da parte della banca centrale americana quest’anno, nel dicembre del 2024.
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