Attenzione a una nuova bomba dal valore di oltre 3.000 miliardi di dollari pronta a esplodere nei mercati, già scossi da turbolenze finanziarie: cosa sta per accadere?
Una nuova minaccia oscura i mercati e non riguarda banche Usa o mosse della Fed. Una bomba da oltre 3.000 miliardi di dollari sta per esplodere e le ragioni sono in Giappone.
Tutto ha inizio con la politica monetaria dell’ex governatore della Bank of Japan Haruhiko Kuroda, che ha cambiato il corso dei mercati globali quando ha scatenato un’ondata di 3.400 miliardi di dollari di liquidità giapponese nel mondo degli investimenti. Con l’obiettivo di far uscire il Paese dalla deflazione, infatti, la banca centrale si è mossa in controtendenza mantenendo tassi di interesse negativi.
Ora è probabile che il nuovo governatore, Kazuo Ueda, smantelli questa posizione ultra-accomodante, ponendo le basi per un’inversione del flusso degli investimenti che rischia di provocare onde d’urto nell’economia globale.
La posta in gioco è enorme: gli investitori giapponesi, infatti, sono i maggiori detentori stranieri di titoli di Stato statunitensi e possiedono di tutto, dal debito brasiliano alle centrali elettriche europee, fino a pacchetti di prestiti rischiosi negli Stati Uniti.
Un aumento dei costi di indebitamento del Giappone minaccia quindi di amplificare le oscillazioni nei mercati obbligazionari globali, scossi dalla campagna della Federal Reserve per combattere l’inflazione e il nuovo pericolo di una stretta creditizia. Una nuova bomba finanziaria potrebbe esplodere.
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Perché la prossima bomba nei mercati arriva dal Giappone
Il cambio di leadership epocale alla BoJ potrebbe significare che gli investitori si troveranno dinanzi alla fine di un decennio di tassi di interesse estremamente bassi, che hanno punito i risparmiatori nazionali e spinto gli stessi a inviare un’ondata di denaro all’estero.
L’esodo è accelerato dopo che Kuroda si è mosso per sopprimere i rendimenti obbligazionari nel 2016, culminando in una montagna di investimenti offshore del valore di oltre i due terzi dell’economia giapponese.
Adesso, con un cambio di rotta visto più vicino e probabile, “si scatenerà una forza aggiuntiva che non viene apprezzata dai mercati,” secondo Jean Boivin, capo del il BlackRock Investment Institute. “Quando controlli un prezzo e poi allenti la presa, può essere impegnativo e disordinato. Pensiamo che sia un grosso problema quello che succederà dopo”.
L’inversione di flusso è già in corso. Lo scorso anno gli investitori giapponesi hanno venduto una quantità record di debito estero in possesso, poiché i rendimenti locali sono aumentati sulla base della speculazione che la BOJ avrebbe cominciato a normalizzare la politica.
Si prevede che Ueda, il primo accademico in assoluto a capitanare la BoJ, acceleri il ritmo dell’inasprimento delle politiche entro la fine dell’anno. Parte di ciò potrebbe includere un ulteriore allentamento del controllo della banca centrale sui rendimenti e lo scioglimento di un titanico programma di acquisto di obbligazioni progettato per sopprimere i costi di prestito e rilanciare l’economia moribonda del Giappone.
Bank of Japan ha acquistato 465 trilioni di yen ($3,55 trilioni) di titoli di stato giapponesi da quando Kuroda ha implementato il quantitative easing un decennio fa, secondo i dati della banca centrale, deprimendo i rendimenti e alimentando distorsioni senza precedenti nel mercato del debito sovrano. Di conseguenza, i fondi locali hanno venduto 206 trilioni di yen di titoli durante il periodo per cercare rendimenti migliori altrove.
Ora tutta questa liquidità investita all’estero potrebbe tornane in Giappone.
Il fattore Giappone fa tremare la finanza globale
Gli investitori giapponesi, nel contesto di tassi negativi nel proprio Paese, sono diventati i maggiori detentori di titoli del Tesoro al di fuori degli Stati Uniti, nonché proprietari di circa il 10% del debito australiano e delle obbligazioni olandesi. Possiedono anche l’8% dei titoli della Nuova Zelanda e il 7% del debito del Brasile, secondo i calcoli di Bloomberg.
La portata si estende alle azioni e da aprile 2013 i trader nipponici hanno investito 54,1 trilioni di yen in azioni globali. Le loro partecipazioni in azioni equivalgono tra l’1% e il 2% dei mercati azionari di Stati Uniti, Paesi Bassi, Singapore e Regno Unito.
I tassi estremamente bassi del Giappone sono stati anche una delle principali ragioni per cui lo yen è sceso al minimo di 32 anni lo scorso anno, diventando un’opzione migliore per i carry trader in cerca di reddito per finanziare acquisti di valute che vanno dal real brasiliano alla rupia indonesiana.
Seppure con previsioni differenti sulle tempistiche, gli analisti prevedono che il quadro muterà completamente e che anche in Giappone si comincerà ad alzare i tassi di interesse. Con la conseguenza, che gli investitori del Sol levante torneranno in patria, sbarazzandosi di alcuni asset esteri. E, ovviamente, scuotendo i mercati.
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