L’outlook sulla fiducia delle imprese tedesche conferma un drastico peggioramento e preannuncia un fall-out a tre mesi sull’economia italiana: ora la guerra sul green pass potrebbe risultare fatale
Forse è arrivato il momento di preoccuparsi. Davvero. E di porsi qualche domanda. Magari scomoda. Forse, addirittura in precario equilibrio sul crinale di quel pensar male che Giulio Andreotti utilizzò per un’intera vita politica come bussola dell’agire.
Perché l’intransigenza del governo rispetto alla scadenza del 15 ottobre e all’inderogabilità delle norme che regolano il green pass per i lavoratori pubblici e privati da oggi si scontra con qualcosa di ben più serio del pericolo di deriva fascista del Paese. L’indice Zew che misura la fiducia delle imprese tedesche nel dato preliminare di ottobre è letteralmente crollato. E attenzione, perché se questo grafico
mostra come le aspettative siano scese al 22.3 dal 26.5 di settembre e sotto le attese del consensus per un 23.5, a far paura è il sotto-indice delle condizioni attuali di fiducia: 21.6 contro il 31.9 di settembre. Il baratro. Tanto che nella presentazione del report, l’istituto parla chiaro: L’outlook dell’economia tedesca si è oscurato notevolmente.
Nemmeno a dirlo, a pesare come un macigno è la carenza di materie prime e componentistica per l’industria, microchip per l’automotive in testa. Ma questo secondo grafico
di dice dell’altro, alla luce del trend di correlazione fra Zew e Pil che ad oggi sembra delineare un vero e proprio sprofondo per la crescita di Berlino nell’ultimo trimestre dell’anno: a settembre i prezzi all’ingrosso in Germania sono cresciuti del 13,2% su base annua contro il 12,3% di agosto, l’aumento su base mensile più marcato dal giugno 1974. Ovvero, subito dopo la prima, grande crisi petrolifera. Il rischio? Ce lo mostra questa altra immagine,
dalla quale si evince come il termine stagflazione stia letteralmente tramutandosi in un cosiddetto key talking point dei flussi di notizie del gruppo Bloomberg.
Tradotto, stagnazione economica più alta inflazione. Esattamente il quadro che giunge oggi dalla Germania. E che da settimane sta facendo capolino, in maniera ancora più preoccupante, dalla Cina. Le dinamiche delle serie storiche parlano chiaro, come mostra l’immagine:
l’economia tedesca normalmente segue i trend di quella cinese con tre mesi di ritardo, quindi quanto appena prospettato dai dati dello Zew rappresenta il primo impatto del rallentamento estivo di Pechino, quello causato dai primi contraccolpi energetici e di parziale chiusura per i focolai di Covid.
Di converso, l’economia italiana storicamente patisce i guai di quella tedesca con un trimestre di ritardo, facendo riferimento all’interscambio fra i due Paesi e al ruolo fondamentale delle nostre PMI nella fornitura e subfornitura di componentistica e macchinari a quelle teutoniche. Davvero è il caso di andare a una guerra di religione su green pass e tamponi, mettendo a rischio la produttività del nostro tessuto economico, quando le prospettive all’orizzonte sono queste? Qui non si parla più di ipotetici worst case scenarios, bensì di consolidate correlazioni sulle serie storiche.
Questa volta sarà differente? C’è da sperarlo ma davvero speriamo di arrivare al 6% di Pil con il ritorno in presenza della Pubblica Amministrazione? Se sì, allora si prosegua pure sulla strada dell’intransigenza. D’altronde quando si opera nel campo dell’onirico, la fantasia è giusto che sia al potere. Attenzione, però, alla vita reale. Perché un combinato allarmante risuona echi del luglio 2008, periodo pre-Lehman: petrolio sui massimi e in trend rialzista e Banche centrali (quantomeno, la Fed) in modalità di contrazione monetaria ormai imminente.
Il policy error che operò da detonatore dell’esplosivo subprime fino ad allora nascosto sotto il tappeto delle cartolarizzazioni allegre. E oggi più di allora, grazie al clima da liberi tutti innescati dai vari Qe pandemici, più che su un vulcano, il mercato sta seduto su un vero e proprio arsenale atomico. Certo, se invece si cerca il pretesto per dare vita a una cura da cavallo degna della Troika ma fatta in casa e benedetta dall’emergenza e dall’unità nazionale, allora le cose cambiano. E la strategia appare perfetta. D’altronde, i pasti gratis non esistono. Figuriamoci se esistono i Recovery Fund a costo zero.
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