Michele Polo, docente di Economia politica alla Bocconi, spiega a Money.it che la riforma anti-speculazioni del Tff di Amsterdam non basta: serve un nuovo fondo europeo per sostenere il price cap.
“l rialzo del prezzo dei combustibili fossili è strutturale, non si torna indietro”. A dirlo, senza se e senza ma è il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire. Gas, luce e petrolio continuano a costare troppo, con i lievi ribassi visti nelle ultime settimane che non bastano a rasserenare le principali cancellerie europee, mentre i produttori (vedi l’Opec+ per il greggio) continuano ad agire secondo i loro interessi, non facendo abbassare il prezzo in modo sostanziale. Per questo proprio Parigi, assieme all’Italia e gli altri Paesi del Sud spingono per un corposo intervento economico dell’Ue.
L’idea, appoggiata in una lettera pubblica firmata dai commissari Gentiloni e Breton, è creare un nuovo fondo comunitario, sul modello di Sure, per finanziare sostegni a famiglie e imprese senza dover ricorrere a bilanci nazionali in molti casi compromessi da debiti troppo alti o spazi fiscali limitati. Insomma, garantire a tutti la possibilità di aiuti massicci per avvicinarsi a quanto fatto dalla Germania (che ha appena varato un maxi-pacchetto da 200 miliardi di euro).
La strategia si accompagna alla proposta italiana e non solo di una riforma del mercato Ttf di Amsterdam, a cui titoli speculativi (i future) è legato l’andamento del prezzo del gas, e all’idea di un tetto-forchetta (cioè un’oscillazione massima entro cui contenere forzatamente i prezzi).
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Secondo Michele Polo, docente di Economia politica all’università Bocconi di Milano, però, “queste ipotesi da sole non garantiscono nulla, sono solo la descrizione dei desiderata europei”, mentre “i prezzi rimarranno alti anche quando ci sganceremo del tutto dal gas russo”, indipendentemente dalla guerra in Ucraina. Per questo motivo servirebbe creare subito questo “nuovo fondo Ue, che avrebbe delle giustificazioni economiche come durante le prime ondate di Covid-19”.
Gas e luce, perché i prezzi non scenderanno abbastanza
“Le ragioni dell’aumento del prezzo del gas - spiega Polo - sono da un lato legate all’andamento dei mercati mondiali del gas e dall’altra al conflitto in Ucraina e la crisi geopolitica con la Russia, con Gazprom che ha ridotto progressivamente le forniture. I contratti legati alle pipeline negli ultimi anni erano stati indicizzati ai contratti Ttf di Amsterdam e quindi questo aumento dei prezzi spot si è riversato anche sui contratti di lungo periodo, con un effetto di manipolazione che chiamiamo speculazione”.
Questa situazione “verosilimente” per il professore non dovrebbe cambiare in modo sostanziale nei prossimi mesi. E anche in un’orizzonte più lungo, con l’Ue che si sgancia definitivamente dalle importazioni russe (per l’Italia entro il 2024), i costi saranno comunque più alti di quanto erano fino a prima del Covid.
Questo perché “sostituiremo importazioni con altre più care, in parte perché arriveranno sotto forma di gas naturale liquefatto, che prevede una serie di processi di rigassificazione e trattamento e che ci vede competere con tutte le altre piazze mondiali”. Quanto al resto, che arriverà da gasdotti diversi dai russi (quindi Algeria, Libia, Azerbaijan e Norvegia), “c’è un aumento di domanda ai produttori e dunque il prezzo aumenterà”. Trodotto: le fonti saranno più care che in passato anche senza le speculazioni sul mercato indotte dai russi.
Gas e benzina, si possono costringere i produttori ad abbassare i prezzi?
La domanda, quindi, sorge spontanea: come convincere chi produce gas e petrolio ad abbassare i prezzi? “Certamente - dice Polo - se si raggiungesse un accordo Ue, con la Commissione che negozia in maniera unica aumenterebbero i margini di contrattazione con la possibilità di ottenere prezzi più bassi, ma è un processo non facile”.
I problemi del price cap e del tetto-forchetta
Il professore si mostra quindi scettico sulle ipotesi di price cap. “Senza accordo tra chi compra e chi produce - dice - non si possono imporre tetti massimi: non funzionerebbero. Lo dimostra il caso del petrolio: nonostante gli annunci di price cap del G7 con le ultime decisioni dell’Opec di ridurre la produzione i prezzi si sono alzati”.
Trovare un accordo con i russi in questa fase sembra impossibile. Quindi, assieme alla contrattazione con le compagnie norvegesi e quelle statunitensi e il disaccoppiamento tra la formazione del prezzo del gas e quello dell’energia elettrica, l’Ue potrebbe mettere in campo un tetto massimo “per gli utilizzatori finali come in Spagna e Portogallo, che hanno messo in campo ampie risorse per compensare gli operatori ed evitare salassi per famiglie e imprese”.
In pratica si impone un prezzo a cui far pagare il gas e il resto lo mettono gli Stati. Come? “Se agiamo tutti in ordine sparso, con i Paesi che aiutano singolarmente le industrie, il risultato è che chi ha il bilancio più florido è più favorito”. Questo è il rischio che si corre con la Germania.
Ecco che creare un fondo comune a sostenere un price cap generalizzato “avrebbe delle giustificazioni economiche e politiche, perché la crisi dipende anche dalla scelta di tutta l’Unione di sostenere l’Ucraina, anche se rispetto alla pandemia c’è più asimmetria: l’esposizione al prezzo del gas è molto diversa e alcuni Paesi ci stanno guadagnando, da cui le divisioni in Europa”.
Riforma del Ttf di Amsterdam sul gas? “Non basta”
Polo boccia quindi la riforma del mercato Ttf, rilanciata dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. “Non credo che possa avere effetti sostanziosi in bolletta- argomenta il professore- Quello che si dice è sganciare i contratti dal Tff ed agganciarli ad altri indici, com’era in passato. Prima ci si legava al prezzo dell’olio combustibile e dei suoi derivati. Ora tornare indietro è una misura tampone: aiuterebbe a modificare la formazione dei prezzi, ma nei contratti c’è un acquirente e un venditore, non si può modificare tutto in modo unilaterale”.
Come uscire dalla crisi energetica: rinnovabili o più gas europeo?
Nel medio periodo, quindi, come si può risolvere il problema dei prezzi energetici senza dipendere più da Paesi esteri? “La produzione europea di gas - dice Polo - può fare quel che può fare dati i pochi giacimenti che ci sono, tranne alcuni Paesi come l’Olanda e la Norvegia. Ma non si può pensare di sostituire così 150 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia: dovremo necessariamente comprare gas da altri”.
Quanto alle rinnovabili, “possono ridurre l’utilizzo del gas per la produzione di elettricità e in qualche misura per la sostituzione dei servizi di gas con quelli elettrici, ma sono fonti intermittenti e non programmabili, quindi per ora hanno bisogno di una capacità di backup da altre fonti, principalmente proprio il gas”.
Per il professore, pertanto, è necessario agire con un mix di soluzioni per limitare l’impatto dei prezzi alti: più rinnovabili, più produzione di gas proprio e anche “guadagnare flessibilità sul lato della domanda, cambiando le abitudini di consumo delle persone”. Quanto al nucleare, infine, “nei tempi strozzati di oggi non ci aiuta visto che ci vuole molto tempo per averlo: in una prospettiva più lunga potrebbe essere quella un’altra fonte di approvvigionamento, ma tenendo a mente che non è in grado di operare con capacità di backup come il gas”.
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