Mentre la stampa ospita timidi segnali di mea culpa sulla crisi energetica, i futures del gas corrono senza sosta e la prima chiatta incagliata sul Reno preavvisa tempesta. Come il real estate Usa
Apparentemente, nessuno osa ancora utilizzare ufficialmente il termine. Ma la crisi globale è già tra noi. Cresciuta silenziosa nell’incubatrice fra inflazione e recessione, ora è quasi in grado di camminare con le sue gambe. E fare danni. Da zero a cento senza che ce ne accorgessimo. E’ un po’ come le partite su Dazn, qualcosa che c’è ma ancora non si vede. Se non a sprazzi, magari fra un buffering e l’altro. Perché prima di avere un’immagine chiara, nitida e definita, ci vuole ancora un po’ di tempo. Per dissimulare. E, magari, scendere senza dare nell’occhio dal carro del vincitore caduto in disgrazia.
Lo dimostrano queste due immagini,
una testimonianza diretta dei primi vagiti di ammissione comparsi sulla stampa economico-finanziaria. Sia MilanoFinanza che IlSole24Ore apparentemente oggi hanno perso la loro incrollabile certezza rispetto alla bontà della strategia del governo Draghi per affrancare il Paese dalla dipendenza energetica russa nel minor tempo possibile. E con il minor impatto a livello di costi. Di colpo, si comincia a far balenare il rischio che le alternative di LNG statunitense, gas algerino e dell’Angola non siano più sufficienti. Quantomeno, non nell’immediato e non per scongiurare il peggio da qui a poche settimane.
Di più, il quotidiano di Confindustria ammette anche come Russia - data in default un giorno sì e l’altro no per settimane - e India siano ormai alle vista di un’alleanza strategica e ospita un durissimo editoriale del presidente di Nomisma Energia, quel Davide Tabarelli che da sempre definisce impossibile l’affrancamento da Gazprom in base alle tempistiche ottimiste della politica. L’Italia può vivere senza gas russo, si diceva rivendicando bontà ed efficacia della sanzioni. Non è così. E non perché Gazprom abbia preannunciato un inverno difficile per l’Europa, sintomo di una strategia di medio termine che non può escludere uno stop totale dei flussi quando questo farà più male.
Bensì per questo,
Mit vereinten Kräften haben die #Johanna und die #Willem-Antonie den Havaristen beiseite gezogen.
Kann also wieder losgehen hier auf dem #Mittelrhein. #havarie #oberwesel pic.twitter.com/oA41dhZSuZ
— Jan Zimmer (@zimmj007) August 17, 2022
ovvero la certificazione del disastro ornai alle porte, la conferma su carta intestata dell’arrivo della tempesta perfetta. Se infatti le valutazioni futures del gas naturale europeo continuano ad aggiornare nuovi massimi ad Amsterdam, veleggiando ormai verso quota 250 euro per MWh e spingendo l’asticella temporale al rialzo massimo del primo trimestre 2024 per intravedere prezzi sotto quota 200 euro (192,7 euro), ecco che il contratto a 1 anno per la Germania in area 505 euro per MWh potrebbe presto tramutarsi in un piacevole ricordo. Il livello del Reno è sceso a 33 centimetri nel punto di snodo di Kaub, lo stesso livello che nel 2018 portò alla chiusura forzata delle principale tratte della navigazione su chiatta. E il filmato parla chiaro: stamattina proprio nei dintorni del chokepoint strategico, per l’esattezza fra St. Goar e Oberwesel, un vascello si è incagliato, costringendo l’operatore fluviale tedesco a bloccare il traffico merci.
Se da qui alla fine della settimana non dovesse piovere e in maniera copiosa, il rischio è quello di uno stop che tagli in due la via d’acqua del Reno. A quel punto, i futures esploderebbero. Rendendo impossibile qualsiasi dissimulazione ulteriore. E la crisi globale sarebbe certificata, divenendo giocoforza argomento ufficiale di discussione. Di fatto, travolgendo mese e mesi di narrativa e innescando la più classica rincorsa alla presa di distanza. E queste ultime due immagini
appaiono impietose. Se la prima mostra quale sia stato finora l’impatto della crisi energetica per la bilancia commerciale europea, passata da surplus a deficit come in una mano di Monopoli dove non si debba transitare per il via, ecco che l’ultima rilevazione dell’indice dei costruttori statunitensi pare sostanziarsi nel grido di dolore finale del canarino nella miniera. La domanda e la costruzione di immobili negli Usa stanno segnando un rallentamento che traccia quasi alla perfezione il trend ribassista innescato nel 2020 dall’esplosione della pandemia. A questo punto, un ulteriore ritocco ai tassi in settembre da parte della Fed opererebbe da detonatore di un mercato destabilizzato nei fondamentali e con forti rischi di accelerazione delle criticità da parte delle esposizioni bancarie. La crisi è qui, persino se ancora non si vede. O si finge di ignorarla. Ma a differenza di Dazn, a nessuno è concesso disdirne l’arrivo.
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