Dal 1° gennaio 2025 ci sarà un problema con gli stipendi

Simone Micocci

26 Agosto 2024 - 17:55

Stipendi più bassi dall’1 gennaio 2025? Per le mamme con solo due figli sì; per gli altri lavoratori è ancora una grande incognita.

Dal 1° gennaio 2025 ci sarà un problema con gli stipendi

Dal 1° gennaio 2025 potrebbe esserci un problema con gli stipendi: il rischio è che possano essere più bassi rispetto a oggi a causa di alcune decisioni che il governo potrebbe dover prendere con la prossima legge di Bilancio.

Per quanto il governo abbia più volte rassicurato i lavoratori riguardo alla possibilità che lo sgravio contributivo venga confermato per un altro anno, le ultime notizie sulla legge di Bilancio ci dicono che non sarà semplice come si crede. La proroga di tutti i bonus in busta paga oggi riconosciuti sarà molto complicata, a meno che al tempo stesso non si rinunci ad altre misure oppure non vengano introdotte nuove tasse.

Il problema è che in questi ultimi due anni il governo si è fatto carico di impegni complicati da portare avanti. Se da un lato intervenire a sostegno dei redditi è stato necessario nel periodo caratterizzato dall’alta inflazione, dall’altro ha deresponsabilizzato le imprese, in quanto dal momento che il netto è aumentato non è stato necessario intervenire sul lordo.

A farne le spese sono però i lavoratori che dall’1 gennaio 2025, o comunque tra qualche anno, rischiano di trovarsi con uno stipendio più basso.

Cosa può succedere agli stipendi dall’1 gennaio 2025

Oggi sugli stipendi il cui importo lordo non supera i 2.692 euro viene applicato uno sgravio che riduce la quota di contributi dovuta dal lavoratore. Una misura che a seconda dei casi arriva a riconoscere un aumento netto persino di 100 euro al mese.

1.200 euro l’anno (il bonus nel 2024 non si applica sulla tredicesima), soldi serviti ai lavoratori per far fronte al caro prezzi che negli ultimi due anni ha raggiunto dei picchi altissimi, con un valore medio dell’8,1% nel 2022 e del 5,4% nel 2023.

Tuttavia, per quanto utile il “bonus contributi” ha un costo di 10 miliardi di euro, soldi che ogni anno il governo deve stanziare in legge di Bilancio se vuole confermarlo per altri 12 mesi.

Il problema si è riproposto tra il 2023 e il 2024 e sarà lo stesso per il prossimo anno: dal momento che lo sgravio è in scadenza il 31 dicembre prossimo, il governo dovrà intervenire in legge di Bilancio 2025 per fare in modo che improvvisamente lo stipendio non risulti più basso. Una differenza che, appunto, nel peggiore dei casi può essere persino di 100 euro netti.

Ma non è tutto: perché di sicuro il 1° gennaio 2025 lo stipendio sarà più basso per quelle lavoratrici che nel corso degli ultimi 12 mesi hanno beneficiato dello sgravio contributivo totale conosciuto anche come bonus mamma. Alle lavoratrici con solo due figli, di cui uno di età inferiore ai 10 anni, infatti, lo sgravio spetta esclusivamente per l’anno in corso; solo chi ne ha più di due (di cui almeno uno minorenne) ne beneficia fino al 2026. L’addio del bonus mamme (sempre che non venga prorogato) comporterà una riduzione dello stipendio che nel peggiore dei casi può essere di circa 175 euro netti al mese. Ricordiamo, infatti, che lo sgravio ha un importo massimo di 3.000 euro l’anno, quindi circa 250 euro lordi al mese.

Sempre in scadenza poi la riforma dell’Irpef, con il rischio quindi che la seconda aliquota - quella applicata per la fascia compresa tra i 15mila e i 28mila euro - torni al 25% (rispetto all’attuale 23%), con una perdita massima di circa 20 euro netti al mese. Una misura che da sola richiede altri 4 miliardi di euro per essere confermata, rendendo così ancora più complicato il piano del governo Meloni di continuare a sostenere gli stipendi.

Confermare lo sgravio contributivo è una buona idea?

Va detto che il governo confida di recuperare i 15 miliardi di euro necessari per confermare tanto lo sgravio contributivo quanto la riforma dell’Irpef, “prenotando” così circa due terzi delle risorse a disposizione per la legge di Bilancio.

Una decisione che va detto sembra poggiare più su basi politiche che altro: se nel 2023 e 2024 aveva senso dare sostegno al potere d’acquisto, adesso che l’inflazione è tornata a essere sotto controllo (per quest’anno si stima un +1,6%) il governo potrebbe anche orientare le risorse altrove, chiedendo alle aziende che siano loro a farsi carico degli aumenti di stipendio. Anche perché nel frattempo è arrivata la firma per molti rinnovi di contratto, a dimostrazione che è questa la strada da seguire.

D’altronde, lo sgravio contributivo non può essere confermato per sempre: arriverà un momento in cui il governo di turno dovrà farsi carico di una decisione impopolare ma necessaria. Sarà il governo Meloni a prendersi questa responsabilità, iniziando già dalla prossima legge di Bilancio (ad esempio riducendo lo sgravio attuale), oppure si lascerà questo impegno ai governi futuri?

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