Germania ora ’perdona’ il peccato del debito. Rendimenti Bund ai massimi dalla caduta del muro di Berlino

Laura Naka Antonelli

6 Marzo 2025 - 17:58

La Germania pronta a rinnegare il peccato del debito (schuld)? Rendimenti Bund continuano a infiammarsi, dopo balzo record da caduta muro di Berlino.

Germania ora ’perdona’ il peccato del debito. Rendimenti Bund ai massimi dalla caduta del muro di Berlino

La svolta della Germania sul debito è epocale; di conseguenza, la reazione dei Bund, titoli di Stato emessi da Berlino, non poteva che essere altrettanto epocale.

E così è stato: nella giornata di ieri i rendimenti dei Bund a 10 anni sono scattati di 30 punti base: non succedeva, secondo quanto calcolato da Bloomberg, dal marzo del 1990, ovvero dai mesi immediatamente successivi alla riunificazione della Germania. Praticamente, dalla caduta del muro di Berlino. E oggi l’impennata è continuata.

Boom epocale dei rendimenti dei Bund, non accadeva così dalla caduta del muro di Berlino

A far schizzare al rialzo i rendimenti decennali dei titoli di Stato tedeschi è stata la notizia relativa al bazooka fiscale proposto dal neo cancelliere tedesco Friedrich Merz: un piano di stimoli fiscali del valore di mezzo triliardo di euro, ergo di 500 miliardi, che la Germania è pronta a lanciare per ridare fiato a un’economia che arranca da troppo tempo: almeno due anni, visto che il PIL tedesco è caduto in recessione, nel 2024, per il secondo anno consecutivo.

La caduta drammatica del PIL ha portato la politica tedesca a mettere in discussione da un bel po’ di tempo quel principio sancito dalla Costituzione noto con il termine “Schuldenbremse: debt brake, in italiano freno al debito: quella regola fiscale che fissa allo 0,35% la soglia massima del deficit-PIL della Germania e che ha finito con il tradire, secondo alcune colombe teutoniche - che evidentemente esistono - lo stesso orgoglio del Paese, etichettato più volte, negli ultimi anni, come il “Sick Man of Europe”, l’economia grande malata dell’Europa, sbeffeggiata soprattutto da chi, nel periodo della crisi dei debiti sovrani di 15 anni fa, aveva dovuto pagare con la propria pelle il diktat dell’austerity imposto in Eurozona soprattutto da Berlino.

Berlino si era scagliata infatti contro i Paesi più indebitati dell’Eurozona come l’Italia, la Grecia e tutti i componenti dell’acronimo PIIGS, imponendo il risanamento dei conti pubblici pur a costo di affondare le economie delle economie indisciplinate; Berlino che si era messa in evidenza con l’armata dei suoi falchi come regista di manovre di lacrime e sangue da imporre senza alcuna esitazione, pur di non vedere quelle casse dei PIIGS drammaticamente in rosso.

Erano i tempi in cui Berlino derideva anche l’Italia, insieme alla collega definita “virtuosa”: Parigi, anch’essa fiera di finanze pubbliche non macchiate dall’onta del debito.

Lontani sono i tempi dell’asse dei falchi Merkel-Schaeuble-Weidmann

La priorità, per la Germania di Angela Merkel e dell’ex ministro delle finanze, il superfalco Wolfgang Schaeuble, così come dell’ex esponente della BCE ai tempi di Mario Draghi, il super hawkish Jens Weidmann, era infatti soprattutto quella: non chiudere un occhio di fronte al problema del debito, a partire dalla Germania stessa.

D’altronde il debito - in base alla stessa etimologia della parola in lingua tedesca “schuld” - significa anche peccato, ergo colpa. Peccato da cui ripulirsi il prima possibile, iniziando dai conti pubblici di casa e, successivamente, intimando di fare lo stesso agli altri peccatori di Europa, Italia e Grecia in primis.

Da allora, tuttavia, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia e, prima il cigno nero della pandemia Covid-19, poi quello della guerra in Ucraina, hanno cambiato i connotati dell’intera mappa geopolitica mondiale.

A farne le spese sono stati non solo i tristemente famosi ex PIIGS, ma anche le economie virtuose, incluse Francia e Germania. Che, da un bel po’ ormai, non ridono più. In modo particolare soprattutto Parigi si è ritrovata alle prese con l’emorragia dei conti, che ha fatto balzare deficit-PIL e debito-PIL a livelli considerati in precedenza impensabili.

Dei guai di Germania e Francia hanno beneficiato i BTP

Il risultato è che, a spiccare di colpo come economia solida e più affidabile, almeno in termini di stabilità politica, è stata di colpo l’Italia di Meloni.

Non sono mancate neanche alcune sorprese considerate in precedenza inimmaginabili, visto che, nei mesi dell’autunno caldo di Parigi, gli investitori hanno iniziato a considerare più sicuri, rispetto agli OAT francesi, perfino i titoli di Stato della Grecia, Paese protagonista di una vera e propria fase rinascita e di miracolo economico. E così le notizie di cronaca sono state le seguenti:

La Francia ora fa più paura della Grecia. Alert spread, il BTP batte l’OAT” a cui si sono affiancati, nel pieno della paura per il rischio Francia, anche i timori che la BCE, nota per avere indossato i panni della salvatrice dell’Italia con i suoi vari bazooka monetari, sarebbe rimasta invece spettatrice impassibile dei guai di Parigi.

Dopo la caduta del governo Barnier, collassato nell’arco di pochi mesi, la Francia di Emmanuel Macron è riuscita in qualche modo a rialzarsi, con il nuovo esecutivo guidato dal premier Francois Bayrou; dubbi sul rischio che sia la Germania che la Francia siano finiti a un punto di non ritorno sono stati tuttavia più volte sollevati.

Ma mentre la crisi francese si smorzava, la Germania si avviava all’appuntamento cruciale delle elezioni anticipate, che finiva per innervosire ulteriormente in modo significativo chi aveva visto nei Bund il safe asset perfetto, ovvero l’asset sicuro per eccellenza.

Tensione ora anche sui Bund, occhio all’altro spread

Non è certo da ieri che la tensione sui Bund è salita, se si considera che, a fronte di una economia zoppicante, si era parlato perfino del rischio che la Germania potesse perdere il suo rating di Tripla A. A preoccupare era stato inoltre anche un valore specifico, negli stessi mesi in cui lo spread BTP-Bund puntava invece verso il basso, facendo la gioia del governo Meloni.

In generale, in Europa l’attenzione si era rivolta piuttosto a un altro spread.

La grave crisi economica e politica della Germania aveva portato alcuni esperti a parlare di kaput” per il Paese, e gli investitori a nutrire sempre più sospetti nei confronti dei Bund.

I BTP nel frattempo, almeno fino al grande improvviso terremoto che si è abbattuto su tutta la carta sovrana dell’area euro, hanno fatto invece decisamente meglio.

Ironia della sorte, era stato proprio Merz, poco prima del giorno delle elezioni anticipate in Germania, a lanciare un alert sul rischio di una nuova crisi dei debiti sovrani nell’area euro. Detto questo, va ricordato che anche spendendo molto di più, il rapporto debito-PIL della Germania rimane al sicuro. Vero però anche che gli investitori monitorano spesso e volentieri soprattutto la tendenza (rialzista o ribassista) del debito-PIL. In ogni caso, il terremoto travolte anche i BTP, che vedono i rendimenti decennali riscattare di nuovo sopra la soglia del 4%.

La Germania ha appena annunciato il suo piano Whatever It Takes

La crescita negativa in Germania ha costretto tuttavia a questo punto anche i discepoli della regola del freno del debito a cambiare forma mentis, in un contesto in cui spendere di più è diventato a quanto pare un diktat, per difendersi innanzitutto dalla Russia, in una situazione in cui l’Europa si ritrova orfana di quella garanzia di aiuti militari made in USA che era stata data dai tedeschi quasi come scontata. “In vista del 2025 avevamo consigliato di non sottovalutare la capacità della Germania di cambiare”, ha ricordato interpellato da Reuters Maximillian Uleer, strategist di Deutsche Bank, commentando il bazooka fiscale che Berlino ha annunciato ieri: “La Germania ha appena annunciato il suo piano Whatever it takes”.

E questo nuovo piano che sembra smentire la narrativa della Germania sempre ligia ad attenersi alla regola del freno del debito è tanto più sconvolgente se si considera che l’inflazione, per il Paese, rimane tuttora un incubo. Ma ora la priorità è diventata, anche per Berlino, crescere.

E chissà che a questo punto di questa svolta storica del pensiero tedesco finisca alla fine per beneficiarne l’Europa intera. Sicuramente non ne beneficeranno le casse di tutti gli Stati, avverte già qualcuno. Sicuramente il mercato dei titoli di Stato, che anche oggi punisce i BTP, i Bund tedeschi e tutti i debiti dell’Eurozona.

Bund, BTP & Co, carica di sell continua nel BCE Day

Oggi ci si è messa anche la riunione del Consiglio direttivo della BCE, che si è conclusa con l’ennesimo e sesto taglio dei tassi.

Dal comunicato della Banca centrale europea è emerso tuttavia che lo staff degli economisti ha rivisto al rialzo le stime sull’inflazione: sicuramente un fattore che rema contro i titoli di Stato del blocco.

A remare ancora di più contro i BTP e contro i bond sovrani dell’area euro è inoltre il sospetto che Christine Lagarde sia vicina a mettere fine ai tagli dei tassi di interesse, visto che, parole sue, la politica monetaria dell’Eurotower è diventata “meno restrittiva in modo significativo”.

Peccato però che, allo stesso tempo, i rischi sulla crescita siano orientati, a causa dei dazi di Trump, verso il basso.

Nel frattempo, la carica dei sell contro i BTP e i Bund continua: oggi, dopo il balzo di ieri di 29 punti base, i rendimenti dei Bund schizzano di 15 punti base, al 2,88%, ormai vicini alla soglia del 3%, mentre i rendimenti dei BTP scattano ora di 11 punti base, al 3,99%.

Così commenta l’effetto della decisione sui tassi della BCE sul mercato del reddito fisso Simon Dangoor, Head of Fixed Income Macro strategies di Goldman Sachs Asset Management: “Gli investitori devono considerare la maggiore incertezza sulle prospettive a breve termine della BCE. Manteniamo una conviction più bassa sui tassi a breve termine in Europa, data l’assenza di una chiara direzione, e preferiamo le strategie steepener, alla luce dell’aumento di emissioni per finanziare l’espansione fiscale in Germania e di un probabile incremento del premio a termine derivante da un miglioramento delle prospettive di crescita e inflazione nel medio termine”.

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