Cosa succederebbe se l’Italia dovesse rinunciare alle forniture di gas russo? Il governo Draghi prepara il piano d’emergenza e il conseguente razionamento: ecco cosa prevede.
Dallo spegnimento dell’illuminazione pubblica alla riduzione dell’utilizzo di condizionatori e riscaldamenti: il piano del governo in caso di razionamento, dovuto alla mancanza di forniture di gas, prevede scenari limite che Palazzo Chigi sta predisponendo in caso di emergenza.
La questione ruota tutta attorno al gas russo. L’Italia punta a essere meno dipendente dalle forniture di Mosca e sta provando a sostituirle con il gas algerino. Nel 2023 arriveranno 9 miliardi di metri cubi l’anno, comunque solo un terzo di quanto arriva dalla Russia. E non da subito, inoltre. Poi si punta, sempre da Algeri, anche su idrogeno verde e rinnovabili.
Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, cerca anche altre intese per rimpiazzare il gas russo: si parla di Angola e Congo. Ma prima di rinunciare alle forniture di Mosca senza buchi da coprire serviranno almeno due o tre anni. E intanto cosa succederà?
Il piano di emergenza del sistema italiano del gas naturale prevede tre livelli di crisi: pre-allarme (quello scattato con l’invasione russa dell’Ucraina), allarme ed emergenza. Solo in caso di emergenza scatteranno misure straordinarie come temperature imposte ai cittadini, uso ridotto per orari dei riscaldamenti, stop all’illuminazione. Scenario che Chigi esclude nell’immediato, sostenendo che non c’è alcun sentore per un passaggio neanche alla fase di allarme. Ma a cui il governo si prepara.
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Cosa succede in caso di stop alle forniture russe di gas
Se Vladimir Putin dovesse rompere con l’Ue e mettere fine alle forniture russe del gas o se l’Ue stessa decidesse di imporre sanzioni sul gas russo, per l’Italia nell’immediato la mancanza di forniture sarebbe inevitabile. E quindi cosa potrà fare il governo? L’ipotesi più probabile è quella del razionamento.
Un primo provvedimento è già arrivato, preventivo: un emendamento al decreto Bollette approvato in commissione alla Camera ha introdotto una stretta sull’utilizzo dei termosifoni e dell’aria condizionata nella Pa: dall’1 maggio 2022 al 31 marzo 2023 le temperature negli uffici pubblici non potranno superare i 19 gradi in inverno e scendere al di sotto dei 27 in estate, con due gradi di tolleranza.
La riduzione forzata dei consumi
Ma ci si prepara anche a uno scenario peggiore. In caso di stop alle forniture di gas russo all’Italia serviranno scorte. E sicuramente si dovrà ricorrere maggiormente al Gnl, così come all’utilizzo dei gasdotti Tap e Transmed. Ma non basterà: con uno stop totale il rischio di limitare i consumi è concreto.
Ipotesi stretta su illuminazione pubblica e condizionatori
Palazzo Chigi si prepara anche a ipotesi più estreme. La prima è la riduzione dell’illuminazione di monumenti, edifici e luoghi pubblici. Operazione che non dovrebbe riguardare luoghi più delicati come ospedali, stazioni o grandi imprese energivore.
Poi c’è il capitolo climatizzazione estiva: in questo caso l’obiettivo potrebbe diventare la riduzione degli sprechi. Tra le altre ipotesi c’è la rimodulazione delle attività industriali di alcune filiere: si pensa, per esempio, all’acciaio. L’idea potrebbe essere quella di concentrare le produzioni solo in alcuni periodi dell’anno, mantenendo la quantità invariata ma con un minore consumo di energia.
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