Alla luce dei fatti recenti, ci chiediamo se sia legittimo il licenziamento per una bestemmia al lavoro. Ecco quali sono le varie possibilità nel rispetto del diritto del lavoro.
Covisan è di nuovo nell’occhio del ciclone per un licenziamento disciplinare che i sindacati si apprestano a contestare con 16 ore di sciopero. Questa volta, la vicenda riguarda un lavoratore che è stato sorpreso a bestemmiare durante il lavoro. Secondo quanto riportato dai sindacati, si sarebbe trattato di un’esclamazione sottovoce dovuta alla frustrazione per dei malfunzionamenti del sistema aziendale.
Nel frattempo, la vicenda è sotto l’attenzione della committente Hera, che ha chiesto un confronto con i responsabili operativi. Le organizzazioni sindacali sostengono fermamente l’illegittimità del licenziamento in questione e soprattutto considerano immotivato il richiamo al Codice penale fatto dall’azienda nelle motivazioni del provvedimento.
Ancora non è stata fornita una replica dall’azienda e non si conoscono precisamente i fatti, ma il dilemma dietro questa notizia è comune a tutti: un dipendente può essere licenziato per una bestemmia al lavoro? Ecco quali sono le varie possibilità secondo la legge.
È legittimo il licenziamento per una bestemmia al lavoro?
Un licenziamento motivato con il fatto che il dipendente abbia detto una bestemmia sul luogo di lavoro si pone senza dubbio come licenziamento disciplinare, cioè volto a interrompere il rapporto di lavoro a causa del grave comportamento del dipendente.
Il licenziamento è innegabilmente la sanzione disciplinare più grave e rientra nelle possibilità del datore di lavoro, ma soltanto quando la colpa del lavoratore è tale da non consentire il proseguimento del lavoro (o da non proseguirlo senza pregiudizio per l’azienda).
Il linguaggio sconveniente, che comprende offese, parolacce e bestemmie, è stato spesso oggetto di cause riguardo al licenziamento. Questo perché sono più di quelli che si pensano i datori di lavoro che sono arrivati a licenziare un dipendente per il linguaggio scurrile usato (e spesso giudicati in torto dai tribunali).
Il licenziamento disciplinare deve sempre essere ricondotto a una grave colpa del lavoratore, tale da ostacolare irreversibilmente il proseguimento del rapporto di lavoro. È estremamente difficile che una bestemmia possa portare a questo risultato, per quanto socialmente poco accettabile. Questo non significa che si possa catalogare come illegittimo qualsiasi licenziamento che abbia a che fare con bestemmie o parolacce, ma è possibile farlo con sufficiente sicurezza quando:
- non si tratta di un comportamento ripetuto;
- il dipendente non era già stato sanzionato;
- il linguaggio non ha compromesso fortemente gli interessi aziendali (immagine nei confronti dei clienti, serenità dell’ambiente di lavoro per i colleghi...).
Quando le bestemmie causano il licenziamento
Con tutta probabilità, avrebbe senso parlare di licenziamento in ipotesi di bestemmie ripetute in più occasioni, nel rivolgersi al datore di lavoro, ai colleghi e perfino ai clienti. In questo caso, se il dipendente non migliora il suo comportamento dopo le sanzioni disciplinari il licenziamento si configura come l’unica strada percorribile dall’azienda.
Al di fuori di casi simili, in cui i comportamenti sono reiterati e tali da compromettere l’attività lavorativa è quasi impossibile presumere la legittimità di un licenziamento a causa di una bestemmia. Tanto più quando il dipendente non si rivolge ad altre persone o comunque non turba l’immagine dell’azienda dinanzi ai clienti e non compromette la serenità dell’ambiente di lavoro.
In realtà, la bestemmia non è a priori un legittimo motivo di licenziamento nemmeno se pronunciata durante una discussione accesa con il capo. L’ordinanza n. 4831 del 16 febbraio 2023 della Corte di Cassazione ha infatti considerato che l’utilizzo di un linguaggio volgare nei confronti dei superiori non può essere punito con il licenziamento, ma solo con sanzioni conservative.
La ratio è che la sanzione disciplinare sia proporzionata alla condotta del lavoratore e in linea con il buon senso comune. Un criterio molto utile a giudicare le condotte del lavoratore è quello del disvalore ambientale, richiamato dall’ordinanza n. 25969 del 6 settembre 2023 della Cassazione.
Oltre a giudicare il fatto in modo oggettivo è necessario capire come quella condotta possa influenzare l’ambiente di lavoro nel suo complesso. Una singola bestemmia, tanto più se il lavoratore che la pronuncia non ha mansioni di responsabilità, non è certo in grado di pregiudicare l’ambiente di lavoro.
Cosa rischia chi bestemmia al lavoro
Bestemmiare non è un reato, poiché questo illecito è stato depenalizzato nel 1999. Si tratta comunque di un illecito amministrativo punito con la sanzione pecuniaria da 51 a 309 euro, comminabile soltanto dall’autorità competente. Il richiamo al Codice penale (che ancora contiene l’articolo, trattandosi di un reato poi depenalizzato) può quindi avere una funzione inibitoria, ma si sottolinea che non c’è alcuna responsabilità penale.
Dinanzi a un lavoratore che bestemmia, il datore di lavoro può quindi intraprendere una causa civile e/o applicare una sanzione disciplinare conservativa (nel rispetto della contrattazione collettiva nazionale), ma non può disciplinare il dipendente per questo unico motivo.
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