Con decisione a sorpresa, Gazprom comunica che la pipeline verso l’Europa non riaprirà dopo la manutenzione: «Danni inattesi, niente data per il riavvio». E la partita stavolta non contempla pareggio
Un’accelerazione del muro contro muro inattesa. Che può voler dire solo due cose: o la Russia teme realmente una reazione unitaria dell’Ue che la costringa a un nuovo assetto totalmente vocato a Est dei proprii rapporti di diplomazia energetica oppure le ultime mosse hanno spinto il Cremlino ad andare a vedere quello che ritiene un bluff. Puntando a far saltare il minimo sindacale di accordo fra i Paesi membri prima del vertice di venerdì prossimo.
Comunque sia, un’escalation pericolosa. Perché Gazprom è stata tanto generica quanto chiara nel suo comunicato: a causa dei danni a un’unità di compressione riscontrata nel corso della manutenzione che avrebbe dovuto concludersi domani, Nord Stream 1 viene bloccato totalmente. Stante la natura del danno, non è possibile indicare tempistiche precise per il riavvio, sottolineava la nota. Insomma, da lunedì l’Europa navigherà a vista. E non solo a livello di approvvigionamento energetico, stante i flussi già ridotti della pipeline russa al 20% della capacity e lo shopping a prezzi astronomici in atto presso Olanda, Norvegia e Cina. Bensì, soprattutto a livello politico.
Perché è chiaro che la decisione del Cremlino appare una diretta ritorsione a quella del G7 di imporre un cap al prezzo del petrolio russo, mossa che appena comunicata aveva scatenato le ire del solito Dmitry Medvedev, a detta del quale una simile provocazione avrebbe significato la fine delle forniture russe verso i Paesi promotori. Ora tutta l’attenzione si sposta su due fronti. Il più a breve termine è quello che lunedì vedrà la Borsa di Amsterdan tramutarsi nel centro del mondo, poiché una simile mossa dell’11ma ora potrebbe far riguadagnare ai futures del gas naturale europeo tutto quanto perso a livello di prezzo negli ultimi due giorni.
Venerdì, poi, ecco che Bruxelles sarà chiamata alla sua prima, vera prova di politica non solo declamata a parole. E i presupposti non appaiono dei migliori per chi, come il governo italiano, puntava tutto su un accordo comunitario sul tetto comune al prezzo del gas. Con l’Ungheria fresca di firma di un aumento delle forniture con Gazprom e la Germania che per bocca del cancellerie, Olaf Scholz, ora ammette di non poter fare a meno del gas russo, pena un tracollo industriale, ecco che le possibilità di un compromesso appaiono pressoché nulle.
Anche alla luce dell’atteggiamento assunto negli ultimi giorni dalla Francia sul tema, totalmente silente da quando Emmanuel Macron ha sfidato fischi e contestazione ed è sbarcato ad Algeri, capitale che poche settimane prima vide Mario Draghi annunciare un accordo di fornitura record. Ognuno per sé e Dio per tutti, nel più classico degli spiriti europei? Cosi pare. O forse no. Una cosa è certa: Mosca ha alzato l’asticella al massimo, di fatto mettendosi in gioco totalmente. Insomma, la partita appena iniziata non prevede pareggi o rinvii. Qualcuno vincerà. Qualcun altro perderà.
Il tutto alla luce anche del contemporaneo corollario di minaccia del Cremlino verso gli Usa, definiti ormai parte in causa nel conflitto ucraino. C’è ormai solo una sottilissima linea a separare gli Stati Uniti dal diventare una parte in conflitto. Le sfacciate forze anti-russe non devono illudersi che tutto rimarrà immutato una volta che quella linea sarà stata superata, ha dichiarato il vice ministro degli Esteri russo, Serghei Ryabkov, interpellato dall’agenzia Interfax. E l’immediata reazione di Wall Street all’annuncio di Gazprom, capace di far bruciare quasi 400 punti in pochi minuti, fa presagire un Black Monday alle porte. La corda appare decisamente tirata. Forse davvero troppo, questa volta.
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