Ecco quali lavoratori non possono essere licenziati, le regole e le eccezioni a tutela dei dipendenti.
Il licenziamento dei dipendenti è un diritto del datore di lavoro per perseguire i propri interessi, ma deve avvenire secondo le regole dettate dalla legge.
I lavoratori rappresentano infatti la parte contrattualmente più debole e devono essere tutelati dal rischio di perdere il lavoro in maniera ingiustificata.
Un licenziamento si può definire illegittimo per diverse ragioni, compreso il mancato rispetto della procedura corretta. Ci sono però situazioni e condizioni particolari che limitano in maniera specifica le possibilità di metter fine al rapporto di lavoro.
Abbiamo quindi individuato alcune categorie di lavoratori che non possono essere licenziati, a meno che insorgano questioni straordinarie.
Assunti a tempo determinato
La prima categoria al riparo dal licenziamento riguarda tutti coloro che sono assunti con contratto di lavoro a tempo determinato. Trattandosi di un contratto a termine entrambe le parti sono tenute a rispettare la scadenza pattuita, fatta salva la possibilità di concordare su una risoluzione anticipata.
Il datore di lavoro può licenziare i dipendenti a tempo determinato soltanto in presenza di giusta causa o per “impossibilità sopravvenuta alla prestazione” (come disciplinata dall’articolo 1256 del Codice civile). Quest’ultima attiene a una circostanza inevitabile e non imputabile alle parti che rende impossibile proseguire il rapporto di lavoro, come la cessazione di un ramo aziendale. Altrimenti, il licenziamento è illegittimo e il lavoratore può agire in giudizio per ottenere la retribuzione calcolata sino al termine contrattuale.
Categorie protette
Le categorie protette ai sensi della legge n. 68/1999 includono lavoratori meritevoli di particolare tutela per garantire loro l’inserimento sociale e lavorativo. L’appartenenza alle categorie protette comporta l’accesso ad alcuni strumenti di salvaguardia, ma non pregiudicano il licenziamento che può sempre avvenire per giusta causa o giustificato motivo oggettivo o soggettivo. Chiarito questo comune fraintendimento, bisogna comunque rilevare che:
- il licenziamento per peggioramento della disabilità può avvenire soltanto se il dipendente non è più in grado di svolgere alcuna attività né può essere attribuito ad altre mansioni, rispettando l’obbligo di repêchage;
- il licenziamento per peggioramento della disabilità è ammesso quando viene accertato dalla commissione medica dell’Asl un pericolo per la salute degli altri lavoratori o per la sicurezza aziendale;
- il periodo di comporto relativo alle assenze per malattia deve essere previsto tenendo conto delle particolari condizioni di salute del lavoratore, come ricordato dalla sentenza n. 11731/2024 della Corte di Cassazione.
Il datore di lavoro è peraltro tenuto a rispettare la cosiddetta quota di riserva, vale a dire una percentuale di lavoratori appartenenti alle categorie protette stabilita dalla legge in base alla dimensione aziendale.
Malattia e infortunio
In linea generale, non possono essere licenziati i dipendenti in malattia o in infortunio.
Le uniche eccezioni sono rappresentate dalla grave compromissione del vincolo fiduciario commessa dal lavoratore prima o durante l’assenza, tale da motivare un licenziamento per giusta causa. È ammesso anche il licenziamento economico, sempre rispettando l’obbligo di repêchage, come pure per il superamento del periodo di comporto durante la malattia.
A tal proposito, si ricorda che la giurisprudenza impone una diversa considerazione del lavoratore con handicap, equa rispetto alle condizioni di salute. Oltretutto, quando la compromissione dello stato di salute del dipendente è imputabile a una colpa del datore di lavoro non è possibile licenziare il lavoratore per superamento del limite massimo di assenze per malattia o infortunio. Questa circostanza deve naturalmente essere documentabile, provando il nesso causale con la negligenza del datore di lavoro e la malattia.
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Matrimonio, maternità (o paternità)
Nel tentativo di arginare i comportamenti discriminatori e assicurare ai cittadini l’esercizio dei propri diritti il licenziamento è vietato in concomitanza di eventi particolari nella vita dei lavoratori, nei quali si presume per l’appunto un intento discriminatorio.
Ciò non determina l’impossibilità esclusiva di licenziare i lavoratori, ma obbliga il datore di lavoro a provare con estrema puntualità e precisione il motivo del licenziamento secondo quanto determinato dalla legge. In linea generale, però, il licenziamento durante i cosiddetti “periodi protetti” è nullo. Ciò vale per la lavoratrice durante il periodo di matrimonio, vale a dire dalla data di pubblicazione fino all’avvenimento delle nozze.
La giurisprudenza concorda nel non attribuire analoga tutela ai lavoratori uomini, atteso che lo scopo è impedire ritorsioni sulla lavoratrice per temute attese dovute alla maternità. Analogamente, le mamme lavoratrici non possono essere licenziate dalla gravidanza fino al compimento del 1° anno di vita del figlio. In questo caso, il divieto si estende anche al lavoratore padre che usufruisce del congedo di paternità obbligatorio e/o alternativo dalla nascita del bambino fino al 1° anno di vita dello stesso.
Attività sindacale e scioperi
La legge vieta i licenziamenti che minano l’esercizio dell’attività sindacale e del diritto di sciopero.
Anche in questo caso, il datore di lavoro può superare la presunzione soltanto dimostrando i motivi che giustificano il licenziamento del rappresentante sindacale o del dipendente che ha aderito a uno sciopero legale. In base alla contrattazione collettiva può inoltre essere previsto l’obbligo del nulla osta rilasciato dall’organizzazione sindacale per procedere legittimamente al licenziamento dello stesso.
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