La guida sulla rinuncia all’eredità: quali sono le tempistiche, quanto costa, quali sono le conseguenze e quali invece le convenienze.
Nessuno è obbligato ad accettare l’eredità, nemmeno se si tratta dell’unico erede del defunto o se vi è una nomina testamentaria. La rinuncia può essere davvero provvidenziale quando il patrimonio ereditario comprende molti debiti di cui il chiamato all’eredità non vuole farsi carico.
La rinuncia, purché derivi dalla libera volontà del chiamato all’eredità, è sempre concessa dal nostro ordinamento. Affinché la rinuncia sia valida, tuttavia, è necessario conoscere le linee guida di questo istituto. Vediamo quindi quali sono le tempistiche della rinuncia, come deve essere eseguita e quali conseguenze comporta.
Cos’è e come si fa la rinuncia all’eredità
La rinuncia all’eredità è un diritto di tutti i chiamati all’eredità, sia per successione legittima che testamentaria. In particolare, la rinuncia all’eredità è disciplinata dall’articolo 519 del Codice civile:
La rinunzia all’eredità deve farsi con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni.
È proprio il Codice civile a delineare le modalità per effettuare della rinuncia, che al contrario dell’accettazione non può mai essere tacita. Per effettuare alla rinuncia il chiamato all’eredità deve presentare una dichiarazione formale in cui esprime la volontà di rinunciare all’eredità del defunto e renderla al notaio oppure al cancelliere del tribunale.
Se il chiamato all’eredità è minorenne la rinuncia dovrà essere formalizzata dai suoi genitori, tramite la richiesta al giudice tutelare che avrà l’ultima parola sulla questione. Il medesimo meccanismo si applica per gli incapaci e gli infermi.
In ogni caso, l’atto di rinuncia deve indicare con precisione i dati del rinunciante, quelli del defunto e del ricevente (notaio o cancelliere a seconda dei casi). Oltretutto, è necessario dichiarare di non essere stato in possesso di beni ereditari e di non aver compiuto atti in qualità di eredi. Altrimenti, si sarebbe configurata un’accettazione tacita, che comporta la perdita del diritto di rinuncia.
Infine, affinché la rinuncia sia efficace non bisogna apporle termini, condizioni o limitazioni. Di pari passo, non è possibile rinunciare dietro corrispettivo, in quanto si configura un’accettazione e semmai la vendita dell’eredità. Così come l’accettazione riguarda l’intera quota spettante all’erede, anche la rinuncia non può essere parziale.
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Tempistiche della rinuncia all’eredità
La legge concede 10 anni di tempo ai chiamati all’eredità per decidere se accettarla o rinunciare, così come sancito dall’articolo 480 del Codice civile. Esistono tuttavia delle eccezioni:
- La rinuncia può essere presentata entro 3 mesi se il chiamato all’eredità è in possesso di alcuni beni del defunto;
- il tribunale, interpellato da un creditore del defunto o altro avente diritto, ha fissato un termine inferiore.
Al termine dei 10 anni, poi, la rinuncia si presume semplicemente e si perde la possibilità di ereditare. Bisogna comunque fare attenzione a non compiere nel frattempo alcun atto che possa configurare un’accettazione tacita. È quindi ovvio che in presenza di persone con interessi riguardo all’eredità, come i creditori del defunto, è fondamentale agire il prima possibile.
Quanto costa rinunciare all’eredità
Il costo della rinuncia all’eredità varia a seconda della modalità prescelta. La rinuncia in tribunale ha un costo più contenuto rispetto all’atto notarile, infatti la spesa è formata da:
- Il costo per la registrazione dell’atto stabilito dal tribunale, di solito pari a 200 euro;
- la marca da bollo da 16 euro.
Quando la rinuncia viene curata dal notaio, invece, il costo complessivo che comprende l’onorario del professionista va intorno a 800 euro, ai quali si aggiungono comunque i costi del tribunale. La differenza di costo è naturalmente giustificata dal lavoro del notaio, indispensabile soprattutto per i patrimoni più ingenti o gli assi ereditari più complessi.
Conseguenze della rinuncia all’eredità, quando conviene
Con la rinuncia all’eredità il chiamato all’eredità si esclude dall’asse ereditario, perdendo ogni forma di diritto successorio che gli era stato concesso dalla legge o dal testamento. In buona sostanza, il rinunciante non ha più il diritto ad acquisire i beni ereditari, ma nemmeno il dovere di pagare i debiti del defunto.
Per effetto della rinuncia, la quota ereditaria in questione viene divisa equamente tra i coeredi oppure indicata al soggetto che subentra per rappresentazione; altrimenti, se il testamento ha nominato un sostituto l’eredità del rinunciante spetta a quest’ultimo.
Di conseguenza, la rinuncia all’eredità conviene quando il patrimonio ereditario comprende debiti superiori al valore dei beni e dei crediti, costituendo di fatto una perdita economica per l’erede.
L’accettazione con beneficio d’inventario, infatti, è pressoché inutile in questi casi, in quanto l’intero patrimonio ereditario andrebbe perduto (escludendo i beni non pignorabili). In ogni caso, non sono richieste giustificazioni di sorta e si può rinunciare per qualsiasi motivo personale.
Revoca e impugnativa della rinuncia all’eredità
La rinuncia all’eredità non è necessariamente incontrovertibile, poiché la legge consente la revoca entro il termine di 10 anni. La revoca della rinuncia all’eredità è ammessa soltanto quando l’eredità non è ancora stata acquisita da altri eredi, sempre purché la revoca non arrechi pregiudizi a terzi che hanno acquistato i beni ereditari.
La rinuncia può anche essere impugnata dai creditori del rinunciante stesso (e non da quelli del defunto) entro 5 anni, a patto che:
- Il patrimonio personale dell’erede sia insufficiente a coprire i debiti;
- l’eredità comprenda più attivi che passivi.
In altre parole, non si può rinunciare all’eredità per evitare di soddisfare i propri creditori e pagare i debiti.
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