Giorgia Meloni svela il piano del governo per aumentare gli stipendi degli italiani. Tra le misure che verranno approvate non ci sarà però il salario minimo.
Giorgia Meloni dal palco del congresso Cgil ha fatto chiarezza sul piano del governo per aumentare gli stipendi. D’altronde il ritardo dei salari italiani - “che non crescono da trent’anni” - è un problema noto, mentre da tempo si discute delle possibili soluzioni.
A tal proposito, la presidente del Consiglio - all’indomani dell’approvazione della legge delega della riforma fiscale - ha fatto chiarezza su quali sono gli obiettivi dell’Esecutivo e su come punta a raggiungerli. Intanto, così come risposto a Elly Schlein nel question time di pochi giorni fa, Meloni ha ribadito che il salario minimo non è la soluzione per aumentare gli stipendi.
Piuttosto, il governo intende perseguire la strada della crescita economica mettendo aziende e lavoratori nella condizione di generare ricchezza.
No al salario minimo, serve puntare sulla crescita economica
Secondo Giorgia Meloni, il salario minimo non è la risposta all’emergenza dei salati in quanto “favorirebbe i soliti”. Dal momento che gli stipendi italiani sono “gli unici a essere più bassi rispetto agli anni ‘90”, serve assolutamente puntare tutto sulla crescita economica. Poi un chiaro attacco al Movimento 5 stelle:
Veniamo da un mondo in cui si pensava di abolire la povertà e creare lavoro per decreto.
Oggi come allora, visto che “qualcuno chiede che sia lo Stato, per legge, a creare un salario elevato”. Così come il Reddito di cittadinanza non era la strada giusta, non lo è neppure il salario minimo in quanto “la ricchezza la creano le aziende e i loro lavoratori”, mentre il compito dello Stato è di fissare le regole. Inutile continuare a parlare di salario minimo quando si può ragionare su un’estensione della contrattazione collettiva (a tal proposito Meloni ha ricordato il recente aumento in favore dei lavoratori della scuola), come pure sul ridurre il cuneo fiscale come fatto con lo sgravio contributivo introdotto dall’ultima legge di Bilancio.
La sfida è ambiziosa, ma quel che il governo intende fare è mettere aziende e lavoratori nelle condizioni di creare ricchezza, facendola così “riverberare su tutti”. E ne è un chiaro esempio la riforma fiscale, che secondo Meloni non merita la bocciatura prematura dei sindacati.
La riforma fiscale per generare ricchezza
Ed è proprio alla recente riforma fiscale - che verrà attuata entro i prossimi due anni - che Meloni ha dedicato una parte del suo intervento. La presidente del Consiglio intanto ha voluto chiarire che la diminuzione delle aliquote Irpef - da quattro a tre nell’immediato, con l’obiettivo poi di arrivare alla flat tax per tutti - non significa che verrà meno la progressività.
L’intenzione è di ampliare lo scaglione della prima aliquota così da farci rientrare il maggior numero possibile di lavoratori dipendenti, in modo da far pagare loro meno tasse. Obiettivo che verrà facilitato, ad esempio, dall’introduzione di una tassa piatta agevolata sugli incrementi di stipendio, come pure dalle nuove deduzioni sui costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Si pensi ad esempio alle spese per il trasporto e l’istruzione, le quali serviranno ad abbassare la base imponibile su cui vengono calcolate le tasse. Parimenti, così come per i pensionati, si punta a innalzare la soglia della no tax area, fissando un importo minimo di stipendio dove le imposte dovute vengono azzerate dalle detrazioni.
E ancora, tra le novità della riforma fiscale che andranno a impattare direttamente sugli stipendi dei lavoratori italiani figura anche la possibilità di rendere monetizzabili i fringe benefit, “ad esempio nel caso della nascita di un figlio”.
L’obiettivo del governo è di lavorare per “consegnare agli italiani una riforma complessiva che riformi l’efficienza della struttura delle imposte, riduca il carico fiscale e contrasti l’evasione fiscale, che semplifichi gli adempimenti e crei un rapporto di fiducia fra Stato e contribuente”. Riforma che tuttavia al momento è stata bocciata dalle parti sociali, convinte che solamente chi guadagna di più pagherà meno tasse, mentre per gli altri lavoratori c’è il rischio di doverne persino versare di più.
Sì agli ammortizzatori sociali universali
Se per il salario minimo la strada appare sbarrata, Giorgia Meloni si è detta disposta a discutere dell’introduzione di ammortizzatori sociali universali. Non solo per il lavoratore dipendente quindi, ma anche per gli autonomi o gli atipici.
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