Nel trading è fondamentale identificare i dati market mover più importanti per capire come impostare le proprie strategie sia nel breve che nel lungo periodo
Nell’attività di trading è doveroso dare peso ai dati macroeconomici in uscita nel momento, ma soprattutto è fondamentale saper identificare quali dati macro sono importanti nel momento storico attuale dei mercati.
Per capire bene quali siano i dati macroeconomici più importanti, bisogna possedere dei rudimenti di analisi macroeconomica, quelle nozioni base che ci permettono di comprendere il contesto e l’ambiente in cui un trader si deve muovere al fine di evitare dei problemi nella gestione delle proprie posizioni.
Cosa vuol dire tutto ciò? Molto semplicemente: i dati macro non hanno sempre lo stesso peso. Anzi, a volte alcuni un tempo rilevanti, potrebbero risultare irrilevanti e pertanto non arrivare a muovere il mercato. Prima di capire quali siano i dati macro rilevanti, dobbiamo fare un’analisi macro e per farla abbiamo bisogno di formazione.
Come sempre rimarchiamo, nel trading la formazione non è mai troppa, anzi, più sappiamo e meglio è, così da poter trovare e utilizzare gli strumenti che più potrebbero servirci ai fini della nostra attività. Passiamo quindi a fare una breve analisi macroeconomica per capire poi quali sono i dati macroeconomici di rilievo attuali e che potrebbero essere importanti nel futuro.
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L’analisi macroeconomica della situazione attuale
L’attuale situazione macroeconomica risulta essere alquanto chiara. Dopo la pandemia e dopo lo scoppio della guerra abbiamo visto una situazione in cui l’inflazione è salita globalmente al di sopra dei target previsti dalle banche centrali, pertanto sono proprio queste ultime a dover agire per tempo onde evitare problemi sul controllo dell’andamento dei prezzi nel lungo periodo.
Per controllare l’inflazione le banche centrali si servono degli strumenti preposti al controllo della politica monetaria, tutti strumenti legati alla liquidità presente nel mercato finanziario e che seguono un semplice principio: a un forte aumento dell’inflazione e dei prezzi, segue una diminuzione della liquidità per diminuire la domanda e i consumi che avrebbe conseguenze dirette sull’inflazione.
La stessa cosa, ma al contrario, successe quando l’inflazione non riusciva a salire verso i target e, pertanto, le banche centrali hanno attuato politiche volte ad aumentare la liquidità, che doveva portare ad un aumento della domanda e di conseguenza ad un aumento dei prezzi.
Tornando alla situazione attuale, in questo momento abbiamo l’inflazione ben al di sopra dei target ideali, pertanto si attua una politica economica restrittiva. Quali sono le ripercussioni di questa politica su scala globale? Un calo della liquidità porta a un minor afflusso di denaro all’interno del sistema economico, pertanto dovrebbe esserci una diminuzione dei prestiti, del credito al consumo, un aumento del costo del credito e una conseguente diminuzione della domanda, ingrediente principale per un rallentamento economico. L’economia deve essere pronta ad attutire bene tale rallentamento, pena una recessione.
Proprio in questo contesto esce allo scoperto il famoso detto “cash is the king”, ossia la liquidità è importante e chi più ha liquidità più ha possibilità di sopravvivere in questo contesto.
Viene prevista quindi una recessione, o comunque un rallentamento economico che porta a un aumento del tasso di disoccupazione su scala globale il quale, una volta che arriverà al suo culmine, segnerà la fine del rallentamento e porterà le banche centrali a stimolare di nuovo l’economia nel caso a un tasso di disoccupazione elevato corrisponda anche una diminuzione dell’inflazione al di sotto dei target previsti.
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I dati macro più importanti attualmente
Al primo posto troviamo ovviamente l’inflazione su scala globale e soprattutto quelle delle economie occidentali. Ricordiamo che per le banche centrali più importanti, come Fed (Usa), Bce (Europa), BoE (UK), il target di inflazione è del 2%. Fino a che rimarrà al di sopra di tale target, non attueranno mai politiche di tipo espansivo, ma solo con tassi di interesse invariati o in aumento.
Altro market mover è quello relativo ai tassi di interesse delle banche centrali, un dato strettamente collegato all’inflazione e che aiuta la discesa di quest’ultima fino ai livelli target prefissati. Tanto più l’andamento dell’inflazione risulta discendente ai ritmi previsti, tanto più i tassi di interesse rimangono o invariati o in leggero aumento, tanto più l’inflazione non scende, tanto più le banche centrali saranno spinte ad aumentare i tassi.
Il caso storico attuale vede un’inflazione in calo e un rallentamento del ritmo di crescita dei tassi per via del trend discendente dell’inflazione. Altro market mover rilevante, che per il momento sta acquisendo sempre più peso, è quello relativo al tasso di disoccupazione che funge da spia per quanto riguarda la tenuta dell’economia. Se il tasso di disoccupazione inizia a salire, significa che l’inflazione sta scendendo e che rientrerà nei target. Pertanto un aumento della disoccupazione fino ai livelli massimi storici potrebbe fare da timing indicator per le banche centrali per far rientrare i tassi di interesse e spingere l’economia verso una futura ripresa a condizioni normali.
Ci sono anche altri indicatori anche se di rilievo minore rispetto alla situazione attuale ma comunque strettamente collegati allo stato di salute dell’economia, come ad esempio alcuni indicatori di sentiment dell’economia come i Purchasing Managers Index (Pmi), o gli stessi dati sui Pil dei vari Paesi e gli indicatori dello stato di salute del mercato immobiliare, forti indicatori per identificare il ritmo dei prestiti del settore bancario all’interno dell’economia.
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