L’azienda può non pagare lo stipendio al dipendente? In alcuni casi sì, è la legge a prevederlo.
Lo stipendio è un diritto del dipendente, così come allo stesso tempo rappresenta diritto del datore di lavoro non pagare i lavoratori nel caso sussistano determinate circostanze.
A prevedere l’obbligo di retribuzione per il lavoratore subordinato, indicando la misura delle singole voci che incidono sul calcolo dello stipendio, è il contratto di lavoro, tanto quello collettivo quanto quello individuale, nel quale tuttavia vengono indicati anche gli obblighi che il dipendente è chiamato a rispettare.
Per questo motivo la legge riconosce anche alle aziende la possibilità di agire nei confronti del dipendente che viola alcuni degli obblighi contrattuali, non pagandogli lo stipendio (oltre alla possibilità, ovviamente, di procedere con l’interruzione del contratto attraverso il licenziamento disciplinare).
Nel dettaglio, fermo restando che il datore di lavoro non paga lo stipendio nelle giornate in cui il dipendente si assenta senza darne giustificazione, come pure quando si avvale di quegli strumenti che non prevedono alcuna retribuzione, c’è una situazione particolarmente rilevante in cui è legittimato ad agire contro il lavoratore sospendendo la retribuzione.
Si tratta proprio della sospensione dal lavoro, strumento in mano al datore di lavoro a cui può ricorrere per punire il dipendente che viola uno degli obblighi contrattuali senza però voler ricorrere al licenziamento.
Stop stipendio con la sospensione dal lavoro
Come anticipato, nel caso in cui il lavoratore dovesse essere colpevole di una violazione di un dovere indicato dal contratto collettivo, oppure da quello individuale, il datore di lavoro può agire in propria difesa applicando una sanzione disciplinare.
Ce ne sono diverse e la legge lascia ampia discrezionalità al datore di lavoro precisando però che questa deve essere sempre proporzionata alla gravità della violazione. Il lavoratore che ad esempio ritarda di qualche minuto al lavoro non può essere di certo licenziato per questo. Diverso il caso di chi arriva sistematicamente in ritardo, con la recidiva che è considerata un’aggravante tale da comportare sanzioni disciplinari più severe.
La sanzione della sospensione dal lavoro rientra tra quelle sanzioni piuttosto severe, per quanto meno drastica rispetto al licenziamento, da utilizzare quando un semplice richiamo non è considerato sufficiente.
Come si può intuire dal nome, questo strumento prevede la sospensione dal servizio con il lavoratore sanzionato che viene quindi chiamato a osservare un periodo di riposo “forzato”. Il tutto senza mantenere il diritto allo stipendio, che quindi viene congelato fino al termine della sospensione.
La buona notizia è che esiste un termine oltre il quale il datore di lavoro non può andare. Fermo restando che la durata della sospensione deve essere commisurata alla gravità dell’evento per il quale viene disposta, nel peggiore dei casi deve comunque terminare entro 10 giorni.
Va precisato poi che la sospensione vale solamente per la retribuzione, mantenendo invece la copertura previdenziale anche per il periodo di sospensione. L’obbligo di contribuzione minimale che grava sul datore di lavoro, infatti, va considerata autonoma e svincolata dalla retribuzione che viene effettivamente corrisposta al lavoratore.
Come difendersi dalla sospensione
Se da una parte il datore di lavoro è legittimato ad agire contro il dipendente colpevole di inadempimento o violazione del contratto, dall’altra il lavoratore ha comunque il diritto di difendersi laddove ritenga che la sanzione sia immotivata o comunque esagerata.
Così come per le altre sanzioni disciplinari, con l’eccezione del rimprovero verbale, viene data quindi al lavoratore la possibilità di contestare. Nel dettaglio, una volta ricevuta la comunicazione - che va inviata per iscritto specificando qual è la ragione per cui viene disposta la sospensione dal lavoro e dello stipendio - il lavoratore ha tempo 5 giorni per ricorrere contro la sanzione. Per la difesa è consigliato farsi assistere da un legale o in alternativa da un rappresentante sindacale.
Gli altri casi in cui il datore di lavoro può non pagare lo stipendio
Come anticipato, quello della sospensione è solamente una delle situazioni che legittimano il datore di lavoro a non pagare lo stipendio. Ci sono altre fattispecie che possono configurare il mancato pagamento della giornata di lavoro, come ad esempio:
- quando l’assenza è ingiustificata;
- quando viene superato il limite di 120 giorni di malattia, con l’Inps che cessa di riconoscere l’indennità sostitutiva e il datore di lavoro che non è obbligato a pagare lo stipendio (anzi, può persino procedere con il licenziamento per malattia in caso di superamento del periodo di comporto);
- in tutti gli altri casi di assenza giustificata ma non retribuita, come ad esempio per il congedo per malattia del figlio, come pure nei casi di aspettativa non retribuita;
- quando in caso di dimissioni il dipendente non rispetta il periodo di preavviso indicato dal contratto. In tal caso dovrà pagare al datore di lavoro un’indennità pari a quanto avrebbe guadagnato qualora avesse regolarmente lavorato, la quale verrà trattenuta dal lavoratore nell’ultima busta paga;
- laddove il dipendente abbia arrecato con la propria negligenza un danno al datore di lavoro e nel caso in cui questo abbia provveduto per tempo alla contestazione disciplinare facendo così richiesta di risarcimento. Anche in questo caso l’importo può essere trattenuto dallo stipendio, con il dipendente che quindi non riceverà la parte necessaria a risarcire del danno arrecato.
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