Preavviso licenziamento, quanti giorni prima va comunicato

Simone Micocci

10 Settembre 2024 - 16:41

Licenziamento, quanti giorni prima va informato il lavoratore e cosa rischia il datore di lavoro che non rispetta il preavviso. Tutte le informazioni in questa guida dedicata.

Preavviso licenziamento, quanti giorni prima va comunicato

Il preavviso di licenziamento segue le stesse regole previste in caso di dimissioni rassegnate dal lavoratore. La normativa, infatti, protegge sia l’azienda che il lavoratore durante l’interruzione anticipata e unilaterale di un rapporto di lavoro.

Anche il licenziamento, quindi, deve osservare un periodo di preavviso. Ciò vale sempre, eccetto quando il lavoratore è colpevole di comportamenti talmente gravi da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro anche solo per un altro giorno.

Generalmente quindi, nei casi di cessazione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro deve, oltre a presentare una valida causa per il licenziamento (a differenza delle dimissioni che invece sono consentite anche senza motivazione), darne comunicazione con un certo anticipo. In questo modo il dipendente dispone del tempo necessario per trovare un nuovo lavoro.

Pertanto, il lavoratore licenziato mantiene il posto di lavoro, come pure lo stipendio, per un certo numero di giorni che varia in base alla qualifica e all’anzianità. La durata del preavviso è indicata dai Contratti collettivi nazionali di lavoro e, come già anticipato, è la stessa che viceversa deve osservare il lavoratore che rassegna le dimissioni.

Anche la sanzione in caso di preavviso di licenziamento non rispettato è la stessa. Il datore di lavoro che licenzia in tronco senza che ne sussistano le ragioni deve farsi carico del pagamento della relativa indennità (d’importo pari allo stipendio che il dipendente avrebbe percepito in caso di preavviso lavorato).

Dopo aver fatto chiarezza sulle regole previste per il preavviso di dimissioni (che potete approfondire qui) guardiamo cosa succede se invertiamo i fattori, ossia nel caso in cui sia l’azienda a voler sciogliere unilateralmente il contratto.

Licenziamento, quando è possibile?

Come anticipato, mentre il lavoratore può dimettersi anche senza motivo, il datore di lavoro - salvo alcune eccezioni - deve sempre dare una spiegazione valida della sua decisione.

Le norme sul diritto del lavoro individuano due casi in cui il datore di lavoro può licenziare un dipendente a tempo indeterminato. Il primo è quello per cui quest’ultimo abbia tenuto un comportamento colpevole o in malafede: il licenziamento disciplinare. A seconda della gravità del comportamento assunto dal dipendente abbiamo:

  • licenziamento per giusta causa: il fatto è talmente grave che impedisce il prosieguo del rapporto lavorativo anche solo per un giorno. Ecco perché in questo caso non è necessario il preavviso (mentre il lavoratore mantiene il diritto all’indennitò di disoccupazione Naspi)
  • licenziamento per giustificato motivo soggettivo: fa riferimento a un fatto meno grave, ma che comunque non consente il proseguimento del rapporto di lavoro. In questo caso è necessario il preavviso.

Non sempre quindi il comportamento disciplinare del lavoratore comporta il licenziamento senza preavviso: tutto dipende dalla gravità delle proprie azioni.

L’altra motivazione per cui è possibile licenziare è quella legata alla struttura aziendale. Ad esempio, se l’azienda dimostra di dover ridurre il personale per far fronte a una crisi del mercato, oppure se c’è bisogno di chiudere un settore perché non è più utile: in questo caso si parla di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per ragioni economici. In entrambi i casi è richiesta l’osservazione di un periodo di preavviso.

Una volta fatta chiarezza su quando il datore di lavoro può licenziare, vediamo entro quanti giorni prima deve darne la comunicazione al dipendente, ricordando che secondo la legge la parte che recede dal contratto, tanto il dipendente quanto il datore di lavoro, senza darne congruo preavviso ha l’obbligo di versare all’altra una specifica indennità.

Calcolo indennità di mancato preavviso

Il datore di lavoro che non rispetta i termini del preavviso è dovuto al pagamento dell’indennità di mancato preavviso. Si tratta di un’indennità sostitutiva calcolata sulla base della retribuzione che normalmente spetta al lavoratore.

Ad esempio, se un datore di lavoro non rispetta i 2 mesi di preavviso, e licenzia immediatamente il proprio dipendente, è dovuto comunque al pagamento di 2 mensilità di stipendio, nelle quali sono comprese provvigioni e premi aziendali.

Il periodo di preavviso, anche se il datore di lavoro non lo rispetta, si considera come se fosse stato lavorato, e come tale dovrà essere retribuito al dipendente insieme alle competenze di fine rapporto.

In alcuni casi l’azienda è comunque costretta al pagamento dell’indennità, cioè quando il dipendente è impossibilitato alla prosecuzione della prestazione lavorativa. Questo vale per le dimissioni per giusta causa o per la morte del dipendente.

Quando non è necessario il preavviso di licenziamento?

Come anticipato, non c’è l’obbligo del preavviso nel caso del licenziamento disciplinare per giusta causa, visto che in tal caso il dipendente si rende colpevole di un’inadempienza contrattuale talmente grave da impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro anche solo per un altro giorno.

Inoltre, non è necessario il preavviso quando il licenziamento avviene durante il periodo di prova, purché questo risulti espressamente indicato dal contratto.

Ovviamente, non è richiesto il preavviso neppure quando il datore di lavoro intende arrivare alla scadenza naturale di un contratto a termine. Quindi, per l’azienda che non intende rinnovare un rapporto di lavoro a tempo determinato non c’è alcun obbligo di preavviso. Lo stesso vale per il datore di lavoro che non intende confermare il rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato.

Anche durante i periodi di sospensione del rapporto di lavoro per intervento della cassa integrazione non è necessario il preavviso, così come per i dipendenti che in seguito alla reintegrazione non riprendono a lavorare.

L’ultimo caso in cui questo non è necessario è quello in cui il datore di lavoro si metta d’accordo con il dipendente (accordo consensuale).

Come si calcola il preavviso di licenziamento

Non c’è un termine fisso per il preavviso. La durata, infatti, varia a seconda dei:

  • contratti collettivi;
  • categoria di lavoratori;
  • livello di inquadramento;
  • anzianità.

Solitamente il numero dei giorni è lo stesso previsto per il preavviso dimissioni, ma ci potrebbero essere delle variazioni a seconda del Ccnl. È a questo, quindi, che dovete guardare per capire quanto prima comunicare il licenziamento al dipendente, come pure se il vostro datore di lavoro ha rispettato le tutele previste oppure se è obbligato a pagarvi l’indennità di mancato preavviso.

Ci sono però delle regole che valgono per tutti i lavoratori. Per quanto riguarda la decorrenza, sappiamo che questa viene interrotta al sopraggiungere di determinati eventi, come:

-* ferie;

  • malattia;
  • infortunio.

Nel periodo di preavviso il lavoratore è costretto, salvo abbia preso un accordo diverso con il datore di lavoro, a svolgere regolarmente le proprie mansioni, restando quindi sul luogo di lavoro.

Si parla infatti di preavviso lavorato, durante il quale gli obblighi per il lavoratore e l’azienda non subiscono variazioni. Al preavviso lavorato però deve corrispondere un’effettiva prosecuzione del rapporto lavorativo, ecco perché il decorrere del preavviso si sospende quando il dipendente è in ferie o a casa malato.

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